CAPITOLO 17
(1942 - 1944)

SECONDA MORTE MISTICA

Dal venerdì santo (3-4-1942) cominciai a sentirmi morta sul calvario, in mezzo alle più grandi tenebre e al più grande abbandono. Sentii la mia anima svincolarsi dalla Terra e salire più in alto ...Mio Dio, che orrore! Non vivo più: vive solo il mio amato dolore, vive solo il mio inesplicabile martirio. Tenete conto, Gesù di tutto il mio dolore e chiudete l'inferno per le anime! - Sentivo ardenti desiderii di dissolvermi in fuoco divino e in questo amore immergere i cuori e le anime.

Il 1942 segna non solo l'inizio della nuova forma di rivivere la Passione e l'inizio del digiuno definitivo, ma anche l'inizio di una seconda morte mistica, che ha caratteri diversi da quelli della prima morte mistica del 1936: è tutta nello spirito, per quanto anche il fisico ne risenta moltissimo. Riportiamo alcuni stralci degli scritti di Alexandrina dai quali appare questa trasformazione mistica. Dal venerdì santo (3 aprile 1942) cominciai a sentirmi morta sul Calvario, in mezzo alle più grandi tenebre e al più grande abbandono. Piombarono su di me tutti i leoni. Non venne data sepoltura al mio corpo: venivano gli uccelli notturni e, nonostante le nere tenebre, ci vedevano per mangiare il mio corpo. Rimasi sempre in questa sofferenza e ancora sento questi uccelli conficcare il becco nelle mie ossa e ridurre tutto in cenere. Ora quegli uccelli hanno ancora molte scorie da togliere beccando nel mio corpo, che non ha più vita terrena. D. Umberto Pasquale, che prenderà la direzione spirituale nel settembre del 1944, studiando questo periodo dal 1942 in avanti sui pochi scritti dettati da Alexandrina, individua i sintomi di una seconda morte mistica.Teniamo presente che di «morte totale Alexandrina ha parlato già fin dal 1939. Solo il mio cuore sente una vita che non è umana: è vita divina. Questa vita divina gli dà sangue e io sento che l'umanità intera, come stormi di uccelli, beve quella vita divina... Io ora non mi sento più sulla croce: e sempre la sofferenza di cui ho già parlato. Questa non è meno dolorosa. Sento i leoni approfittarsi ancora della carne, ma carne che è già putrefatta, nauseabonda; e gli uccelli mettere i loro grandi becchi nelle ossa e perforarle. Hanno lasciato la mia piccola anima in mezzo alla montagna, in balia della più grande tempesta, nera, tristissima, arida: mi hanno lasciata nell'abbandono. Piombarono su di me tutti i leoni! Quanto è triste la ingratitudine degli uomini!

Alexandrina si crede prossima a lasciare la Terra.

In queste condizioni, Alexandrina si crede prossima a lasciare il suo esilio terreno; e lo desidera tanto! Dice che ha tante nostalgie del Cielo. Inoltre ha l'impressione che sia finita la sua missione sulla Terra, poiché ha il presentimento che ormai è imminente la consacrazione del mondo alla Madonna, secondo quanto si è sentita dire da Gesù; anche la cessazione delle estasi di Passione con movimenti, che erano state presentate da Gesù come segno per indurre il Papa alla sopraddetta consacrazione, la induce a credere di essere in procinto di lasciare la Terra. Detta le sue ultime disposizioni per il flinerale e per la tomba (riportate avanti nel cap. 24°). Il parroco le amministra l'Olio degli infermi. P. Pinho, avvertito di questo stato di cose, accorre per una breve visita e celebra una S. Messa nella sua cameretta, come abbiamo già visto nel cap. 13°, nella nota 106. Ma passano i giorni, le settimane, i mesi e Alexandrina continua in digiuno assoluto e non muore, per quanto si senta sempre più carente di forze fisiche. Ecco quanto scrive a p. Pinho il 22 agosto 1942: Il mio stato è grave; dolorosissima è la mia sofferenza. Però nacquero in me dei desiderii irresistibili di dettare alcune parole per lei, padre mio. Non sono le mie forze che parlano, perché non ne ho nessuna: sono esaurite. Ma è il grido della mia volontà: è un leggero soffio di vita che parla. Non ho corpo se non per il dolore: non sento altro. Io sono una piccola e fragile bolla di schiuma che per nulla si disfa. I sentimenti della mia anima sono strani. Mi trovo come in un luogo dove non c'è godimento nè pena. Sento che gli uomini mi hanno legata alla Terra, obbligandomi a sospendere il mio viaggio (verso il Cielo). Vivo ferma, vicino al Cielo, ma senza potervi entrare. Di tanto in tanto mi vengono forti nostalgie per la mia Patria celeste, capaci di togliermi mille vite; non posso resistere ad esse: voglio piangere, e piangere molto. Mi pare che la missione destinatami da Gesù sia compiuta:mi tiene qui, ma sto a fare nulla. Confido però che Gesù romperà questi lacci che impediscono il mio volo verso il Cielo. Come non ricordare qui il famoso verso di S. Giovanni della Croce: «spezza, se vuoi, la tela al dolce incontro!» «Il mio stato è grave; dolorosissima la mia sofferenza»: questo stato, che Alexandrina crede sia sintomo di prossima morte fisica, è invece l'inizio di una seconda morte mistica, dalla quale risorgerà con una vita nuova, con energie che le vengono dall'alto, con sentimenti e desiderii che sente con intensità molto maggiore di quella consueta nell'uomo normale: una vita che è «divina», come più volte si sentirà dire da Gesù. Il distacco dalle cose della Terra è molto più forte che in pre cedenza (vedi avanti il Diario del 13-5-1944, n. 6 del paragrafo seguente). Le forze fisiche le vengono sempre meno. Le Lettere a p. Pinho diventano molto rade...

Vive lo stato delle anime nel Purgatorio.

In questo suo nuovo stato di vita sperimenta non solo una «morte», ma anche la condizione delle anime nel Purgatorio. Le sue note spirituali relative al 31 ottobre 1943 sono intitolate: «Trasformazione dell'anima». E descrivono appunto questo stato: Nel giorno di Cristo Re mi sentii come se morissero il mio corpo e il mio spirito e terminasse completamente la mia esistenza nel mondo. È indescrivibile il dolore che questo mi causò. Ma più ancora: mi sentivo nel Purgatorio. Quale dolore, mio Dio, quale dolore! Da giorni mi sentivo attraversata da fiamme; pensavo che fosse effetto della sete ardente che continuamente sentivo, ma mi ingannavo. Quelle fiamme continuarono; non erano le fiamme di fuoco della Terra: avevano uno splendore incantevole. Mi compenetravano per ore di seguito, tormentando il mio corpo e tutti i suoi sensi; raggiungevano la massima altezza e tutto il mio essere ne rimaneva imbevuto. Mi causavano dolori indicibui. Ma, nonostante questo, io sentivo necessità di immergermi in esse, per così purificarmi. Come la farfalla è attirata follemente dalla fiamma, così lo ero pure io e volevo entrare a braccia aperte in quel flioco, che dava tormento ma non distruggeva; vivevo solamente in un desiderio ardente: liberata da qui, vado al mio Gesù. Io non sapevo il significato di tutta questa sofferenza. Seppi sentire e nulla più. Gesù venne a spiegarmela: - Abbi coraggio, mio incanto, non scoraggiarti nel tuo martirio, non perderti d'animo nel tuo calvario. Solo così i peccatori si salvano, solo così il mondo riceve le grazie desiderate. Tu vivi nel Purgatorio, la barriera che ti separa dal Cielo. Fui io a permettere questo. Ora non sei già più nel mondo: vivi come se non vivessi. Il tuo tormento è ineguagliabile... - Il Diario continua col seguente dialogo: - Vuoi consolarmi così, figlia mia? Vuoi continuare in questo dolore? - Tutto, mio Gesù, tutto quanto Voi vorrete. Il mio anelito è non vivere neppure per un solo momento senza darvi consolazione, mio Gesù. Vivere per consolarvi, vivere per salvarvi le anime: è la mia aspirazione. - Coraggio, allora, figliolina! Oh, se sapessi tu quanto bene farai alle anime quando sapranno il tormento che ti fu dato! Il tuo spirito è morto nei riguardi del mondo, la tua vita è la vita delle anime nel Purgatorio; ma non stai a soffrire solo per te. Presto, presto a far conoscere al mondo quanto soffrono le anime nel Purgatorio! Presto, presto a liberare le anime, mie amate! Ricevi tutto l'amore, l'amore del tuo Gesù e della tua cara Mamma. Ricevi le carezze di Gesù, le carezze celesti.

Sente non più prossima la sua dipartita, ma le pare di non vivere più sulla Terra.

La consacrazione del mondo alla Madonna è ormai fatta, ma Alexandrina sopravvive: capisce che la sua missione non è ancora finita: non consisteva solo in quello. La Lettera del 2 gennaio 1943 comincia così: Padre mio, non è ancora giunta la mia fine: questo è un sacrificio in più! Tutto per Gesù e per le anime. Nel febbraio del 1944 Alexandrina sente la conferma della sua convinzione che la sua morte fisica non è tanto vicina come credeva vedendo le sue condizioni fisiche sempre più disastrose e il perdurare del digiuno. Nel Diario, alla data «Febbraio 1944 si legge: Sentii la mia anima svincolarsi dalla Terra e salire più in alto. A mantenere in vita il mio corpo rimasto qui in basso restava come una corrente elettrica che serviva di unione tra i due. Questo distacco costò immensamente al mio corpo, i cui occhi si fissavano in Gesù crocifisso a sollievo dei suoi dolori. Frattanto la mia anima si sentiva sul grembo della Mamma, la quale sosteneva con me il suo divin Figlio morto. Questo fatto diede luce alla mia intelligenza facendomi comprendere che quanto Gesù mi aveva promesso il 15 agosto 1943. Si sarebbe realizzato non nel modo che io ritenevo più naturale, cioè che io sarei andata per sempre in Cielo, ma che sarei andata per ritornare. Questa luce non fu impressione di un momento, ma una nuova trasformazione che si operò in me e che mi obbligò a dire che certamente non sarei morta nel giorno fissato da Gesù, ma che Egli si riferiva con certezza a questo nuovo stato dell'anima. Mi convinsi in tal modo che non pensai mai più trattarsi di morte reale. Ma continua a vivere in uno «stato di morte», fra tenebre e tormenti inspiegabili. Per esempio nel Diario del 13 maggio 1944 si legge: Nuova trasformazione nella mia anima. Morì completamente quel piccolo soffio di vita: non sento più quella respirazione che sentivo di tanto in tanto. Vive in me il dolore, e questo è di ogni qualità e specie. Sono morta, morta per il mondo e per le creature. Tutto è sceso nel sepolcro, per rimanervi per sempre sepolto. Mio Dio, che orrore! Non vivo più: vive solo il mio amato dolore, vive solo il mio inesplicabile martirio. Questo potrà, senza la mia vita, dare la vita alle anime? Potrò essere ancora utile all' umanità? O Gesù, Gesù, posso così amarvi e consolare il vostro Cuore santissimo? Povera me! Dopo l'odio e l'abbandono, dopo l'oblio, il disprezzo, sono scesa nel sepolcro. Vivo già nella eternità e senza che mi abbiate ridato il mio padre spirituale (p. Pinho), e senza avere di nuovo qui la S. Messa. Mai più, mio Gesù, mai più posso avere gioia, se non con gli occhi fissi in Voi. Possono darmi di nuovo tutto quanto mi rubarono: sento che per me tutto è morte e che ormai è tardi per restituirmi colui che di più amavo e stimavo, dopo di Voi, o mio Gesù... La mia eternità non ha luce: è una eternità che non Vi ama, che non Vi loda, che non Vi vede, non Vi gode. Tremenda eternità! Non vedere Gesù è una eternità morta. Solo il dolore trionfa sulla morte: è ciò che vive in quella eternità che io sento. Qualunque sia lo stato della mia anima, Gesù, affrettatevi: portate a compimento le vostre sante promesse. Io spero, io spero fiduciosa nel vostro amore. Date, Gesù, date la vita alle anime con la mia morte, con la mia eternità! Date loro la vostra eternità: date loro il Cielo, il Cielo, o Gesù! Dunque in quello «stato di morte» sente non solo il suo corpo ridotto a meno che cadavere ma, in una notte dello spirito tenebrosa e orrenda, sente anche la morte dell'anima in una eternità senza Dio: unica realtà che sente vivere è il dolore. Inoltre, il 16 giugno 1944 la Commissione dei teologi nominata dall'arcivescovo per studiare il Caso ha dato il suo Parere negativo! (ne abbiamo già accennato; vedi avanti nel cap.18°). La sua degenza di 40 giorni all'Ospedale della «Foce» dove è stata molto chiaramente dimostrata la sua astinenza da qualsiasi alimento solido e liquido e la assoluta anuria, non è stata sufficiente per abbattere le ostilità, per convincere gli avversarii della Causa. Nei Diarii di questo periodo esplode il grido di dolore di Alexandrina, dolore che ha raggiunto il suo apice per quel Verdetto negativo: un colpo di lancia in più nel suo cuore dove non c'era già più posto per altro dolore. Nella più furiosa tempesta Alexandrina invoca affannosamente l'aiuto di Gesù, ben consapevole che senza l'aiuto divino non può sopportare tanto tremenda prova. Ecco come comincia il Diario del 20 luglio 1944: Gesù, potrà essere, sarà possibile che la morte parli, che il cuore di un cadavere senta nostalgie del Cielo e forti aneliti, forti aneliti di volare a Voi, folle, folle di nascondersi, di perdersi nell'immensità del vostro divino amore? Gesù, Gesù, è il mio dolore che Vi parla, è lui che vive, è un dolore in cui si racchiudono tutti i dolori. Gesù, sento che il mio corpo non è già più un cadavere nel quale i vermi della terra ancora non penetrarono, un cadavere che, sepolto da alcuni giorni, possa essere ancora riconosciuto; no, mio Gesù, no, neppure, le ceneri ho: tutto è scomparso. O mio Dio, che morte, la mia, che eternità perduta! Ascoltate, Gesù, abbiate compassione, guardate a me, leggete nel mio dolore: è per Voi, è per le anime. Sopportate Voi il peso che mi ha causato la morte; vedete che senza di Voi non resisto a tante nostalgie del Cielo e, per le molte ansie di amarvi, non posso rimanere qui. La notte non ha stelle, non vi è giorno, non vi è sole. O dolore, dolore, solo tu vivi, solo tu vivi, solo tu vivi, ma non ami, non ami Gesù, non vivi per Gesù. Ascoltate, Gesù, il mio grido! Giunga sino a Voi la mia implorazione! Che sarà di me, mio Dio, che sarà di me, senza di Voi?! O lotta, lotta, o tremenda lotta! In tanto tenebrosa lotta Alexandrina soccomberebbe proprio, senza l'aiuto di un intervento divino. Questo appare di tanto in tanto nei suoi Diarii. Per esempio il 12 agosto 1944 il grande peso della sua croce le viene un po' alleviato da armonie celesti: Forse verso le 2 del pomeriggio, appoggiata ai miei cuscini e distesa sopra la mia croce in una amarezza profonda, invocavo Gesù, solo Gesù. Alcune note armoniose attirarono la mia attenzione. Pensai trattarsi di suoni della Terra e guardai attorno con la maggiore attenzione per scoprire da dove veniva tutto ciò. Ma venivano dall'alto: lo compresi bene e allora il cuore palpitò con forza fino al punto che io non potevo più resistere. Passò tutta la tempesta. Mi sentii rapita in una grande e soave dolcezza. L'armonia era composta da molti suoni, come di tanti strumenti. Li udivo tutti, ma uno di essi mi attirava di più. Non so per quanto tempo rimasi assorta, forse per mezz'ora. Ma l'anima vittima deve continuare a soffrire: i momenti di sollievo le sono concessi solo perché riprenda forze per maggior dolore. La sua trasformazione spirituale è tale, la morte di ogni cosa materiale in lei è tale che anche la fame e la sete che sente il suo corpo acquista per lei solo un significato spirituale, di fame-sete di anime, sentita da lei come partecipazione a quella fame-sete sentita da Gesù, come abbiamo già visto nel capitolo 14°. E, per maggior tortura, sente che non solo in lei vive solamente il dolore, ma che anche questo non le dà la soddisfazione di essere utile perché non lo sente come suo da offrire. Tutto per farla avanzare sempre più verso maggiori sofferenze. Ecco un suo sfogo con Gesù: .... Tenete conto, Gesù, di tutto il mio dolore e chiudete l'inferno per le anime! Fate che io Vi ami e Vi faccia amato: ho fame di darvi il mondo intero. Ahi, mio Gesù, non sono io che sento la nostalgia di alimentarmi, non è il mio corpo che sente fame e sete, poiché io ormai non esisto; ma è un cuore, è un'anima come se fosse la mia che sente questa fame e questa sete. Udiste, mio Gesù, che questo duro penare mi obbligò a dire: darei tutto, darei il mondo, darei la vita, se fosse possibile, solo per avere una piccola alimentazione. Quali ansie, quali forti desiderii, mio Gesù, di tutto possedere per dare tutto a Voi! Io sono folle d'amore, sono folle d'amore, Gesù, voglio amarvi, voglio darvi le anime. Gesù, dopo tutto questo, non so ciò che è dolore; non so ciò che è soffrire: tutto ignoro, nulla mi appartiene! Volgete verso di me i vostri sguardi divini, che io voglio fissare per sempre i miei in Voi! Abbiate compassione, Gesù, abbiate pietà! Nel Diario successivo riprende quel grido: Tenebre della notte, orrori della morte! Continua, Gesù, il grido del dolore. Ascoltate: è lui che piange, è lui che grida invocando il vostro soccorso. Gesù,, è dolore che sente dolore, è dolore che altra vita non ha se non quella di essere dolore: tutto il resto, mio Gesù, tutto il resto è sceso nel sepolcro, è passato all'eternità. Non vedo luce; mi pare, o mio Dio, di non avere mai conosciuto la luce: non so cosa sia il chiarore della luna, lo splendore del sole, nè lo scintillare delle stelle. Non so che cosa sia la vita, nè l'amore di Gesù. O mio Dio! Come può esservi questo stato che ha vita e cuore che sente? E cosa sente il cuore? Sente che fu lacerato e trapassato da dura lancia, sente che non può essere ferito di più; sente che, dopo di essere stato così tanto maltrattato, ancora vi furono cuori che lo trafissero con una dura lancia, facendomi ricordare la Madonna Addolorata. Grande crudeltà e ingratitudine! E cosa sono stata io per Voi e per la Mamma celeste!... Nel Diario del 15 agosto 1944 parla ancora di un rapimento; come nel febbraio di quello stesso anno si sente scissa in due parti: una parte rapita in Cielo e l'altra che rimane sulla Terra, morta; e questa soffre molto. Dopo la mezz'ora di sollievo concessa il giorno 12 agosto tornai al mio stato di amarezza. Giunse il giorno della Madonna e nel ricordare che giorno era e il gaudio che c'era in Cielo, mi pareva di non resistere ai dolori di questa Terra. Venne il momento della Comunione. Pochi minuti dopo aver ricevuto Gesù, sentii come un assalto dentro di me. Mi parve che fosse Gesù, come un ladro, ad entrare e ad uscire subito portando con Sè quel poco di vita che dà vita al mio dolore. Mi sentii morta, ma continuai a soffrire di più nel sentirmi senza quel poco di vita che era la vita del mio dolore. Sentii che mi mancava tutto di me stessa e mi sentii come scissa, tagliata a metà: rimase qui il mio cadavere e là in alto, in Cielo, quella refurtiva che era una parte di me stessa. Quella parte era immersa nel gaudio completo, eccettuata la visione di Dio. Essa non dava però alcun sollievo alla parte rimasta sulla Terra; al contrario, la schiacciava in un abisso di dolore senza fine. Trascorsi tutto il giorno in un'ansia dolorosa di possedere ancora quella parte di me che mi apparteneva e senza la quale io ero cadavere. Fu un giorno che mi parve non finire: lo passai in un grido continuo a Gesù a alla Mamma e a interrogarmi: o mio Dio, senza vita, come posso vivere? Sul tardi di quel giorno udii nuovamente le armonie del giorno 12 e fu come un calmante alla mia sofferenza, senza il quale mi pare non avrei più resistito molte ore. A notte, non ricordo l'ora, mi fu restituita la refurtiva: me ne resi conto nel sentirmi rivivere.

Dalle ceneri si sprigiona fuoco d'amore.

Per terminare questo capitolo, ecco due altri brani, tratti dai Diarii del settembre 1944, in cui appare forte il contrasto tra il fuoco ardente dell'amore di Alexandrina e le ceneri morte in cui si sente ridotta. Inoltre, di questo suo stato, approfitta Satana per tormentarla. Mio Gesù, non posso vivere qui. Continuano i miei aneliti ardenti: voglio amarvi, voglio morire d'amore. Muoio per darvi anime. Voglio vederle tutte tutte nel vostro Cuore... Non vedo, non sento se non il dolore e questo stesso scompare: va perdendo completamente la sua vita. Dolorosi sono i sentimenti della mia anima. Ascoltate il mio grido, i terrificanti combattimenti col nemico! Gesù, mi pare che quando Vi chiamo, quando invoco il vostro divino amore e quello della Mamma non sono udita. Sento che il mio grido rimane soffocato nel mucchio di cenere del mio povero corpo che non è più un cadavere, come poco fa sentivo, ma cenere, solo cenere, mio Gesù. Mi pare di essere già in un cimitero e quando, nell'agonia della mia anima, imploro l'aiuto del Cielo, questo grido invece di salire in alto si perde soffocato in questo mucchio di cenere e nella cenere di altri cadaveri che giacciono nel cimitero dove mi trovo, la cui estensione non so misurare. Abbiate compassione, Gesù! Vedete quanto soffre la mia povera anima. Non sto in me dal dolore. Non sta in me il mio cuore per le ansie di amarvi e di volare a Voi. Non dico bene, mio Gesù: questo cuore non è mio, non so a chi appartiene. Dove è Colui, o Gesù, a cui appartiene? Tutto morì, Gesù: abbiate pietà di me! La mia volontà è la vostra, solo la vostra; ben lo sapete, ben lo sapete, mio Amore... (dopo la S. Comunione) Mi sentivo tanto disanimata, tanto avvilita e non sapevo dire nulla a Gesù. Mi sforzavo di ripetere molte volte: - O mio caro Gesù, mio Amore, o mio diletto Amore, io sono vostra. - Non dissi altro al Signore per alcuni momenti. Venne Lui: - Gradisco tanto, figlia mia, mi consola tanto, mia colomba amata, il tuo dirmi "mio Gesù, mio diletto Amore, sono tutta vostra!". Quale gioia, quale consolazione e quale gloria per me! Ripetilo molte volte. Coraggio, o mia amata! Non temere gli assalti del demonio. Abbi coraggio. Solo così, chiedendoti questo sacrificio, io posso essere riparato per tanto gravi crimini. Dammi tutto quanto ti chiedo per gloria mia e salvezza delle anime. - ... Mi sentii obbligata ad inginocchiarmi, ad alzare le braccia al Cielo per così meglio lodare il Signore. Sentivo ardenti desiderii di dissolvermi in fuoco divino e in questo amore immergere i cuori e le anime... Sentivo oggi il demonio al mio fianco e in me sentivo ansie insopportabili di amare Gesù, di dargli anime, di conoscerlo e di farlo conoscere. Folle d'amore ripetevo: - Gesù, Gesù, Amore, Amore! - In quello stato non potevo trattenere le lacrime, sentendo la mia miseria, il fango in cui sono vissuta: mi causava orrore la melma in cui sono vissuta. A nulla valevano le mie ansie d'amore: tutto perduto! Mi sentivo in un cimitero immenso e sentivo il mio dolore quasi senza vita, proprio come se esso non si muovesse già più, coperto appena di ceneri: mi venivano in mente quei vermi che nelle pinete fanno la loro casa sotto mucchietti di terra e di legno sbriciolato. In mezzo a tutto questo vi è sempre la mia offerta a Gesù, come vittima e sempre il timore di offenderlo. È un combattimento tremendo e quasi continuo. Vivo senza vivere, soffro senza soffrire, amo senza amare.

 

   

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