CAPITOLO 7
(1935-1936)

PRIMA MORTE MISTICA

Mi preparai per morire... Chiesi perdono alla mia famiglia e cantai di gioia: Felice, oh, felice Felice se giungerò a tanto di morire cantando con amore il nome di Maria! Felice chi mille volte nella lunga agonia con amore ripete il nome di Maria! Passai la festa della SS. Trinità come una moribonda: in me tutto era morte... Il Signore tarda tanto a venire a prendermi! Ma mi pare che ora non dovrà tardare. Tra poco sarò tra gli angeli e da la, contate su di me, otterrò tutto dal Signore: Egli farà tutto quanto io Gli chiederò; perché anch’io mai Gli dico di no.

Le condizioni fisiche di Alexandrina continuano a peggiorare; inoltre ella patisce sofferenze dell'anima tali che «le sofferenze dell'anima costano di più di quelle del corpo» (L. 15-5-1936); e intanto anche l'amore a Gesù cresce sempre di più, per cui Alexandrina sente sempre più forte la nostalgia del Cielo, il desiderio ardente di lasciare la Terra d'esilio per entrare nella eternità ad amare senza limiti. E Gesù, per aiutarla a portare la sua pesante croce, le promette sovente di condurla «presto» in Cielo. Alexandrina dunque, non solo spera, ma crede che la sua morte fisica sia prossima.

Preannuncio.

Il giorno 16 giugno 1935, festa della Santissima Trinità, Alexandrina si sente dire da Gesù: - Figlia mia, oggi è festa tanto bella in Cielo! A questa non assisti, ma assisterai a tutte le altre per tutta l'eternità. - Alexandrina, tanto desiderosa di lasciare la Terra, interpreta la frase alla lettera e crede di morire prima della festa della Santissima Trinità del 1936. Infatti nella Lettera del 14 maggio 1936 leggiamo: Non so se lei, padre mio, si ricorda che nel giorno della Santissima Trinità dell'anno scorso il Signore mi disse: - Non assisti a questa festa, ma assisterai a tutte le altre per tutta l'eternità. - La mia idea è che in quel giorno sarò già in Cielo, ma non so i disegni del Signore. Ciò che io posso dire è che il demonio continua a disimpegnare bene il suo compito: cerca tutti i mezzi per tenermi sconvolta. (circa l'opera del demonio, vedi il capitolo successivo) Alexandrina, per quanto dica prudentemente «non so i disegni del Signore», è sempre convinta di morire prima della festa della Santissima Trinità del 1936: Nel 1935 il Signore mi preavvisò che sarei morta prima della festa della SS. Trinità del 1936. Siccome non conoscevo altra morte, pensavo che volesse dire lasciare questo mondo e partire per l'eternità. In quel tempo tutto era tenerezze, consolazioni e gioie spirituali. A misura che si andava approssimando il giorno della SS. Trinità (7giugno 1936) cresceva la mia gioia, la contentezza: sarei andata a passare in Cielo la festa dei miei tanto cari Amori, come chiamavo il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. I mali del corpo andavano aumentando e tutto dava segno della mia dipartita.

Attuazione.

Due giorni prima (della suddetta festa) il Signore mi disse che sarei morta fra le 3 e le 3.50 del mattino e che mandassi a chiamare il mio padre spirituale. Così feci. Egli giunse verso sera e passò la notte presso di me. Mi preparai per morire. Sua rev. (p. Pinbo) fece con me un atto di intera rassegnazione e conformità alla volontà di Dio. Chiesi perdono alla mia famiglia e cantai di gioia: (molto debolmente): Felice, oh, felice, se giungerò a tanto di morire cantando il nome di Maria! Felice chi mille voltenella lunga agonia con amore ripete il nome di Maria! La sofferenza andava aumentado e, all'ora fissata dal Signore, non so cosa provai: cessai di udire quanto avveniva attorno a me. Il mio padre spirituale e i miei famigliari recitarono le preghiere dell'agonia, accesero una candela benedetta e me la tennero in mano; ma io già, non me ne accorsi. Così stetti per un po' di tempo. Mi giudicavano già quasi morta e piangevano per me. Fu allora che udii il pianto dei miei; cominciai a respirare e, a poco a poco, mi rianimai. Ma, ancora in quello stato, pensai: voi state a piangere e io finalmente muoio. Aspettavo sempre di comparire alla presenza del Signore. Non sentivo pena di lasciare il mondo e i miei cari. Quando vidi che stavo migliorando e che non si avveravano le parole di Gesù (nel senso in cui (le aveva interpretate lei), cadde su di me una tristezza che non si può misurare, con un peso schiacciante. Era giunta l'ora in cui il mio direttore spirituale doveva partire: non ebbe tempo di dirmi qualche parola di conforto. Passai la festa della SS. Trinità come una moribonda: in me tutto era morte. Le lacrime mi scorrevano, i dubbi erano quasi insopportabili perché mi ero ingannata non solo riguardo a questo giorno, cioè riguardo alla morte, ma anche riguardo a tutto quanto il Signore mi aveva detto prima di questo giorno. Nei due giorni successivi mi pareva che tutto il mondo fosse morto. Non vi era sole nè luna nè giorno per me. Era quasi insopportabile il mio vivere. Si avvicinavano a me Deolinda e Càozinha, le uniche persone che sapevano la cosa e mi dicevano: – Non ci parli? Non sorridi? – Rispondevo loro: – Andate via da me! Ormai non sono più la stessa. Non mi vedrete sorridere mai più. Non vi sarà più sole che mi illumini! -E piangevo. Immersa nel più grande dolore e nell'amarezza, parlavo loro in tal modo che non sapevano più cosa dirmi. Stavano combinando (Deolinda e Çãozinha) chi di loro poteva andare dal mio direttore spirituale, quando arrivò all'improvviso il signor dott. p. Oliveira Dias che veniva in nome del mio padre spirituale a confortare la mia anima. Sua reverenza (p. Pinho) gli aveva raccontato tutto e, siccome non poteva venire personalmente perché stava tenendo un ciclo di predicazioni, si era preoccupato di alleviarmi, comprendendo bene la mia sofferenza. Sua reverenza il dott. p. Oliveira Dias mi spiegò il mio Caso citandomi vani fatti analoghi avvenuti in alcuni santi: da allora venni a sapere che si trattava della morte mistica, della quale non avevo mai udito parlare. Il sign. dott. p. Oliveira Dias mi parve un angelo venuto dal Cielo per calmare la tempesta della mia anima. Continuai a vivere molto tribolata, poiché mi pareva fosse morto anche Gesù, restando io per alcuni mesi senza udire la sua voce divina. Quando aumentava l'agonia dell'anima, ripensavo ai Casi che mi erano stati raccontati e mi rianimavo con quanto mi diceva il mio padre spirituale.

Conseguenze della morte mistica.

Dopo la morte mistica si susseguono mesi di atroci sofferenze fisiche e spirituali: Alexandrina arriva alle soglie della morte fisica, che attende con desiderio ardente. Questo stato dura più di un anno. In tali condizioni cessa anche di scrivere e di dettare le Lettere al suo direttore. Però il contatto è mantenuto mediante visite che questi le fa per confortarla e alcune lettere che Deolinda gli scrive per tenerlo al corrente della situazione. Vani stralci di queste lettere sono riportati in «No Calvario de Balasar»; ne presentiamo alcuni, degli anni 1936 e 1937: dànno un quadro vivissimo che ci colpisce dolorosamente, acutamente. '«... Poiché mia sorella non può, eccomi qui un'altra volta a dire qualcosa a cui ho assistito durante questi giorni e ciò che Alexandrina, con sforzo, mi ha detto. Quanto alle sofferenze fisiche, sono tante e tanto grandi che non le so spiegare. Mi meraviglio soltanto, e si meravigliano pure le persone che le fanno visita, come ella possa soffrire taàto e per tanto tempo: si vede bene che è solo per miracolo del Signore che può vivere. Molte volte nella giornata i dolori le danno delle sofferenze tanto grandi e dei tremiti tanto forti che a chi è al suo fianco pare di udire le ossa rompersi.» P. Pinho afferma di avere assistito lui pure, più di una volta, a questo stiracchiarsi delle ossa. Egli, studioso di mistica, scrive in "No Calvario de Balasar": «Di questo genere di sofferenza mistica parla S.Giovanni della Croce nella sua "Notte oscura". Si direbbe che Dio non lascia nessun organo o punto dell'organismo senza purificarlo sul serio e immolarlo col dolore.» Riguardo ai dolori dello spirito, la lettera di Deolinda sopra citata continua dicendo: «Alexandrina mi dice che tutta quella contentezza che sentiva nella sofferenza le è scomparsa: era l'unica cosa che aveva da offrire al Signore in ogni momento. Dice che ora continua ad offrirgli le sofferenze, ma che non vede in esse profitto per sé, nè per i peccatori, nè consolazione per il Signore, e che questo le causa grande dolore nell'anima. Mi dice che il Signore le fece sentire tante cose, per poi toglierle tutto... Ma termina sempre con il "sia fatta la volontà del Signore!" Ecco che l'unica gioia che aveva nella sua vita di sofferenza, ossia la convinzione di salvare anime e consolare Gesù con la sua offerta, le viene tolta! Ma il suo amore per Gesù è ormai arrivato ad un livello tanto alto che, a qualsiasi costo, in qualsiasi condizione, vuole la volontà divina: questo amore quindi, indipendente da ogni finalità, è il più profondo e il più puro: è amore in senso assoluto. Le condizioni. fisiche continuano a peggiorare. Deolinda, nelle lettere del 18 febbraio, 18 marzo, 22 marzo, 1° aprile del 1937 rispettivamente scrive: «Alexandrina sta peggio: è dal giorno 15 in avanti che parla poco; le parole che dice, le dice soltanto con grande sacrificio e si odono soltanto molto vicino a lei... Oggi mi disse che era tanto malata, tanto malata che le mancava solo di morire: e lei è impaziente di questo. Alle volte mi dice così: - Il Signore tarda tante a venire a prendermi! Ma mi pare che ora non dovrà tardare. Tra poco sarò tra gli angeli e da là, contate su di me, otterrò tutto dal Signore: Egli farà tutto quanto io Gli chiederò perché anch'io mai Gli dico di no; so bene che è Lui a darmi coraggio per soffrire tutto. - » Ha peggiorato ancora di più... Confinua ad avere i piedi molto gonfi ed ha in essi tanti dolori, tanto tormento che varie volte al giorno mi chiede di prenderli tra le mie mani per vedere se ha un po' di sollievo. E poi mi dice così: - Guarda come io imito il Signore!... - Ha peggiorato molto nella vescica, con dolori orribili e con molto sangue... Sto scrivendo presso il suo letto dal quale per poco tempo posso allontanarmi, sia di giorno che di notte. E alcune volte a stento ho trattenuto le lacrime. Vederla soffrire tanto tanto e non sapere cosa devo farle!... Ma, grazie a Dio, continua a soffrire molto rassegnata, con grande impazienza che arrivi il giorno di andare al Cielo. Ieri notte mi disse: - Ora pare che finalmente è sicuro che il Signore viene a prendermi. - E oggi mi disse: - Io non vado a morire, vado a vivere: vado alla mia Patria. La mia Patria non è questa: è il Cielo. - E anche a me pare di sì, che sia prossima la fine. Ah, mio Gesù! Non so come potremo separarci l'una dall'altra!» ... Alexandrina è tanto malata!... Ma nonostante tutto questo, conserva ancora come al solito il sorriso sulle labbra e ancora dice al Signore: - Di più, mio Gesù, di più! Tutto quanto Vi parrà inviarmi. - E desidera solo che si compia la volontà del Signore in tutto e sempre. Mi dice di comunicare a vostra reverenza (p. Pinho) che l'anima non è meno crocifissa del corpo; che pensa se il Signore, nella sua infinita sapienza, troverà ancora altri mezzi per affliggerla. Pensa che il Signore finge di toglierle tutto; che le pare persino di non essere amata dal Signore nè dalla Madonna; ma che ha tutta la fiducia di esserlo.» «Sabato di alleluja, verso le 8 di mattina, pensammo che morisse. Ebbe un dolore tanto forte che, se fosse durato molto tempo, non avrebbe resistito. Cominciò con dolori orribili ai reni e alla vescica, che non lasciavano la possibilità di muoverla da nessuna parte; dopo, cominciò a vomitare, ma non vomitava nulla. In questo tormento mi chiedeva di darle il crocifisso da baciare e ripeteva: - O mio caro Amore, Voi soffriste più di me! - Io ripetevo presso di lei alcune giaculatorie perché potesse seguirle col pensiero. Mandammo anche a chiamare il signor parroco, ma non c'era. Durante tutto il giorno non mi allontanai da lei, neppure per mangiare... Alle volte mi dice così: - Ho tanti dolori e mi pare di non soffrire nulla. Sono tanto brontolona! Non so soffrire in silenzio... - Alle volte è tale il dolore interiore che sente, da dirmi così: - Che cosa fui e che cosa sono! Prima avevo ancora possibilità di qualche rattoppo ed ero ancora amica del Signore; ora non ho nessun rattoppo possibile; non prego: non sono affatto amica del Signore. - » Nella lettera del 26 aprile 1937 Deolinda dice che dal giorno 23 aprile Alexandrina non può ingerire nulla e neppure bere acqua. Il suo dolore più grande è quello di non poter fare la Comunione, poiché vomita tutto quanto tenta di inghiottire. Nella lettera del 3 maggio 1937 leggiamo: Non ha ancora ripreso a mangiare nulla, se non alcuni sorsi di acqua fredda o alcuni cucchiai di the, e anche questo le causa dolori orribili dalla bocca allo stomaco, e poi anche alle spalle. Dice che il Signore soffrì ancora di più; che anche Lui ebbe sete sulla croce e che Gli diedero da bere fiele e aceto. Mi dice che diceva al Signore di voler saziare la fame e la sete che Egli ha di amore nel Santissimo Sacramento e che questa sete non potrà mai saziargliela, mentre quella di lei sarà saziata tra poco (con la morte fisica)... Nell'Autobiografia Alexandrina fa un breve cenno a questo suo periodo di tribolazione. Alla fine di aprile del 1937 passai attraverso una grave crisi che mi portò alle soglie della morte (fisica). Cominciai a vomitare giorno e notte, nulla trattenendo nello stomaco. Nei primi giorni rimasi in una prostrazione profonda. Non riconoscevo le persone, non avevo fame nè sete. Il signor parroco mi lesse tre volte le preghiere dell'agonia. Non mi ricordo se non di una volta e di poche parole. Udivo i pianti, ma non pensavo di morire poiché il mio stato fisico resisteva ancora. Forse da un anno ricevevo giornalmente il Signore (nella Comunione, prima di questa crisi)... In questo periodo della mia malattia, non so se di mattina o di pomeriggio, vidi entrare nella mia camera il signor parroco e, riconoscendolo, gli dissi: - Io voglio ricevere il Signore. - Egli rispose: - Sì, ragazza mia, vado a prenderti un'ostia da consacrare e, se non la vomiterai, ti porterò il Signore. - Così fece. Appena inghiottita l'ostia da consacrare, la vomitai subito. Sua reverenza stava per rinunciare a portarmi il Signore, ma una persona presente intervenne: - Signor parroco, un'ostia da consacrare non è Gesù! - Fu allora che si decise ad andare a prendere un'Ostia consacrata. La ricevetti e non la vomitai. Non tralasciai più di ricevere Gesù Sacramentato per causa di quei vomiti. Quante volte entrava il signor parroco nella mia camera per darmi il Signore e io stavo vomitando! Appena ricevuto Gesù, cessavano i vomiti; non vomitai mai più prima che fosse passata mezz'ora. Stando così le cose, il signor parroco non temette mai di darmi il Signore. La crisi durò parecchio tempo, però durante 17 giorni stetti senza inghiottire nulla, assolutamente nulla: la mia medicina fu Gesù. Io dicevo «muoio di fame e di sete» perché sentivo una sete bruciante e un bisogno molto grande di mangiare. La mia pena maggiore, quando cominciai a migliorare, era il pensare che, se fossi morta durante quella crisi, non avrei avuta perfetta coscienza della morte.