CAPITOLO 3
(1918-1928)

BRUSCA SVOLTA E VANI TENTATIVI DI «RADDRIZZAMENTO»

… Io, vedendo tutto questo, mi buttai nell'orto dalla finestra aperta. Le mie piu grandi amiche... si misero contro di me: arrivarono a farsi beffe di me, del mio modo di camminare, della posizione che tenevo in chiesa... il 14 aprile 1925 si mette a letto per non alzarsi più... Ebbi momenti di scoraggiamento, mai però di disperazione. Nulla mi legava al mondo avevo solo nostalgie del mio giardino perche amavo molto i fiori. Giunsi a fare alcuni voti per ottenere la guarigione, per esempio: tagliare a zero i miei capelli per me grande sacrificio, vestirmi a lutto per tutta la vita, andare in ginocchio dalla nostra casa alla chiesa... Pensavo: se guarirò, andrò subito a farmi suora. Infatti avevo paura a vivere nel mondo... Volevo essere missionaria per battezzare i moretti e salvare anime a Gesù.

Un sogno simbolico. Nel sabato santo del 1918 avviene un fatto grave che determina il suo futuro. In precedenza Alexandrina ha un sogno che simboleggia tutto il percorso della sua vita; lei stessa lo considera tanto significativo da dire: «rimase impresso nella mia anima tanto da non essere mai più dimenticato». Tale sogno segue una esperienza vissuta da Alexandrina, esperienza che essa pure può essere interpretata come simbolica, così come il sogno. Ecco quanto detta nell'Autobiografia. Una sera andavo dalla cucina alla camera (la cucina era a pianterreno e alla camera si accedeva mediante una scaletta esterna, fatta di assi con ringhiera) con un lume acceso che mi si spense. Cercai di riaccenderlo tornando in cucina, ma mi si spense ancora; così varie volte, dovendo io andare su e giù. Non mi ricordo che ci fosse vento tale da farlo spegnere. L'ultima volta che tentai di accenderlo caddi e rovesciai il petrolio che mi schizzò in bocca. Pensando che fosse un diavoletto (a farmi quei dispetti), esclamai: - Puoi andartene via, che oggi non ottieni nulla! - Andai a coricarmi molto tranquilla; mi addormentai ed ebbi un sogno che rimase impresso nella mia anima tanto da non essere mai più dimenticato. Fu questo. Salii al Paradiso su dei gradini tanto stretti che a stento potevo appoggiarvi la punta dei piedi. Arrivai là con molta difficoltà e dopo molto tempo, perchè non avevo nulla a cui aggrapparmi. Lungo il cammino vedevo alcune anime che stavano ai lati della scala, dandomi conforto senza parlarmi. Là in cima vidi al centro, su di un trono, il Signore e al suo fianco la Mamma celeste. Tutto il Cielo era affollato di beati. Dopo di aver contemplato tutto questo, dovetti ritornare sulla Terra, cosa che non volevo. Scesi con molta facilità e mi trovai sulla Terra: tutto era scomparso. Dopo, mi destai. Sia nell'esperienza del salire alla camera, sia nel sogno, sono ben chiari tutti gli elementi essenziali della sua vita futura: volontà di salire con costanza nel riprendere, molta difficoltà dovendo passare per una via difficilissima, forze del male che ostacolano con insistenza, aiuto delle forze del bene (alcune anime ai lati della scala), lotta senza aiuti sostanziali e continui (non ha nulla a cui aggrapparsi e le anime la aiutano ma senza parlarle); e infine, nel sogno, la meta luminosa con le due grandi figure che la attirano: Gesù e Maria. Naturalmente il sogno finisce con il ritorno sulla Terra, perchè Alexandrina deve cominciare dal principio di quella scala.

Il salto determinante. Ed ecco il sabato santo del 1918. Nella stanza dove Deolinda cuce vi sono ad aiutarla una apprendista (Rosalina Conçalves de Almeida) ed Alexandrina, che pure impara a cucire. Le tre giovani parlano poco e meditano sul Cristo sepolto. Nella casetta non c'è nessun altro. Ad un certo momento... Avvistammo tre uomini: quello che era stato il mio padrone (Lino Ferreira), un altro uomo sposato (Antonio da Costa Faria) e un terzo celibe (Gamillo da Costa Faria). Mia sorella, avendo intuito qualcosa e vedendoli imboccare il sentiero di casa nostra, mi ordinò di chiudere la porta della stanza. Alcuni istanti dopo, sentimmo che salivano la scala che porta alla stanza. Bussarono alla porta. Rispose mia sorella. Quello che era stato il mio padrone ordinò di aprire la porta; ma, siccome non avevamo confezioni per loro, non aprimmo. Il mio ex padrone conosceva bene la casa e salì per una scala interna all'abitazione, mentre gli altri rimasero alla porta dove avevano bussato. Egli, non potendo entrare attraverso una botola che era chiusa e con, sopra la macchina da cucire (trascinata dalle ragazze sulla botola per impedire l'entrata), afferrò una mazza e diede colpi forti sull'assito della botola fino a spaccarla e tentò di passare per di lì. Mia sorella, nel vedere questo, aprì la porta della stanza per fuggire e riuscì a svincolarsi nonostante che egli l'avesse afferrata per la veste. L'altra ragazza tentò di fuggire per seconda, ma rimase presa. Io, nel vedere tutto questo, mi buttai nell'orto dalla finestra aperta. Sentii un grande spavento perchè la finestra distava circa 4 metri dal suolo. Tentai di rialzarmi subito, ma non potei per un forte dolore al ventre. Nel saltare mi cadde, senza che me ne accorgessi, un anello che avevo al dito. Piena di coraggio, afferrai un palo, entrai dal cancelletto dell'orto nell'aia dove mia sorella discuteva coi due uomini sposati; l'altra ragazza era nella stanza con quello celibe. Io mi avvicinai e li chiamai «cani!» e dissi che, o lasciavano libera la ragazza, o altrimenti avrei gridato contro di loro. Accettarono la proposta e la lasciarono uscire. Fu in quel momento che mi accorsi della mancanza dell'anello ed esclamai di nuovo: - Cani che siete! Per causa vostra ho perso il mio anello. - Uno di loro, che aveva nelle dita vari anelli, mi disse: - Scegline uno. - Ma io, irritata, risposi: - Non voglio! - Non demmo loro più retta alcuna e se ne andarono. Noi continuammo a lavorare. Di tutto questo non raccontammo nulla a nessuno, ma mia madre venne a sapere tutto. Poco dopo cominciai a soffrire sempre di più e tutta la gente diceva che era dovuto al salto che avevo fatto. Anche i medici affermarono che quel salto aveva contribuito molto alla mia infermità.

Prime conseguenze del salto; sofferenze anche morali. Il medico Azevedo al processo Diocesano depone: «Da allora si andarono accentuando le sue sofferenze tanto da costarle assai il camminare e da presentare segni che un giorno non avrebbe potuto più camminare, ed il dott. Giovanni de Mmeida disse alla madre che forse sarebbe diventata paralizzata, poichè era dell'opinione che fosse portatrice di una mielite, che fu poi confermata dal dott. Gomes de Araùjo e da altri medici." Quattro mesi dopo quel salto cominciano a farsi sentire fortemente le conseguenze: A 14 anni e 4 mesi cessai per sempre di lavorare, sebbene vi siano stati mesi in cui lavorai con molta fatica. La madre comincia a condurla da farmacisti, per economia; poi, vedendo che peggiora, la conduce da alcuni medici i quali la sottopongono ad una dieta che la indebolisce tanto da obbligarla a stare a letto per tre settimane circa. La curano per disturbi intestinali, poichè ha dolori all'addome e non riesce a mangiare. All'inizio si sente compresa e non soffre moralmente, ma poi... Le mie più grandi amiche, alcune persone di famiglia e persino lo stesso parroco si misero contro di me: arrivarono a farsi beffe di me, del mio modo di camminare, della posizione che tenevo in chiesa; ma io non potevo stare in altro modo. Il signor parroco mi diceva che non mangiavo perché non volevo e che se fossi morta sarei andata all'inferno... Queste parole mi fecero soffrire molto nel mio intimo e io mi sfogavo col Signore. Quando andavo da casa alla chiesa e da questa a casa, guardavo le montagne intorno e pensavo di fuggire e rifugiarmi dove più nessuno mi vedesse. Ma il Signore non mi lasciò mai fare questo. Piansi tanto tanto nel vedermi in quella condizione...

Mentre tenta una cura a Pòvoa. Dopo circa un anno migliora un poco nella salute e va a Pòvoa per una cura di sabbiature e bagni di sole; ma non ne ha giovamento. In questa sua permanenza a Pòvoa, Alexandrina non è più la bimba di 7 - 8 anni, ma una bella giovane con folti e lunghi capelli neri che incorniciano un volto espressivo ravvivato da due occhi neri, vivaci, luminosi e che alle volte il sorriso rischiara con una bella fila di denti bianchissimi. È quindi comprensibile che sia oggetto di attenzione da parte di giovani, anche seri. Varie volte fui importunata da ragazzi che mi chiedevano di fare all'amore, ma non accettai mai. Ad uno che mi parlava di matrimonio arrivai a dire: - Non lascio la mia famiglia per un uomo. - Come tutte le giovani normali ed equilibrate, anche Alexandrina pensa che un giorno farà la sua famiglia e desidera educare i figli molto bene, sulla via del Signore: Alle volte riflettevo su come avrei educato i miei figli, qualora mi fossi sposata, perché fossero tutti del Signore.

Prime visite mediche ad Oporto lieve, temporaneo miglioramento.

Poichè la cura a Pòvoa non ha servito a nulla, Alexandrina viene consigliata di farsi visitare da uno specialista e nel 1922 fa il suo primo viaggio ad Oporto, per consultare lo specialista Abel Pacheco, che la sottomette ad un esame rigoroso, molto rigoroso. In quella occasione Mexandrina piange molto per i dolori e per la vergogna. Il dott. Pacheco avvisa il medico curante che non guarirà. Sempre nel 1922 si mette a letto per 5 mesi consecutivi. Nel marzo 1923 muore la nonna materna e il suo grande dolore è aumentato dal fatto di non poter visitarne neppure la salma, per causa della sua malattia che la fa anche svenire sovente. Però nell'aprile dello stesso anno migliorano un po' le sue condizioni di salute e comincia ad alzarsi. I suoi primi passi sono verso la chiesa, dove riesce anche, sebbene con molto sforzo, a cantare, specie nelle feste. Deolinda dirà a p. Pinho: «A quell'epoca il gruppo dei cantori era molto piccolo e si avvertiva la mancanza della sua voce, perchè cantava bene e apparteneva al gruppo fin da giovinetta.» Il 27 marzo 1924 deve affrontare un secondo viaggio ad Oporto per essere visitata dal dott. Giovanni de Almeida, perchè non può sedersi; le sono proposti bagni di sole, che fa senza alcun risultato; così pure le varie medicazioni.

Partecipa al Congresso Eucaristico Nazionale.

Nel 1924 (in giugno), con molta fatica, prende parte al Congresso Eucaristico in Braga, ma poco dopo deve mettersi a letto definitivamente per molti dolori al ventre e alla regione lombo-sacrale, con difficoltà ad urinare, con coliche alla vescica e sempre senza potersi sedere... Quanta vita spirituale avrà sentito in sé partecipando a quel Congresso, lei, anima già tanto eucaristica! E fuori dalla sala del Congresso, chissà quanto la sua anima vibrò mentre gli sguardi abbracciavano il magnifico panorama che si gode dal colle del Santuario del Sameiro! Avrà certo elevato bellissime lodi al Signore per le meraviglie del creato, lei che tanto squisitamente le sapeva sentire... E pensiamo che avrà anche avuto un acuto dolore di nostalgia presentendo, poichè si sentiva già tanto malata, che mai più avrebbe accarezzato con lo sguardo panorami tanto estesi.

A letto per sempre!

Arriva la primavera del 1925. Mentre tutta la Natura si apre in festa ad ogni forma di vita, mentre il giardino si riveste dei primi boccioli, le sassifraghe mettono la tenue tinta rosa-lilla ad addolcire la durezza delle pietre grige e gli uccelletti alzano i loro cinguettii al cielo, Alexandrina avanza sempre più verso la sua tragedia. Il 14 aprile 1925 si mette a letto per non alzarsi più: ha davanti a sé gli ultimi 30 anni di vita! Questa data, come è naturale, rimane ben stampata nel profondo del suo cuore! Nel corso degli anni più volte ricorderà tale anniversario: per esempio dopo 14 anni (vedi L. del 13-4-1939) e dopo 25 anni (vedi S.14-4-1950), le sue nozze d'argento con il letto! Nell'Autobiografia si legge: A partire da quel momento cominciai ad avere per infermiera mia sorella, perchè mia madre si occupava dei lavori di campagna e mia sorella faceva la sarta. Ebbi momenti di scoraggiamento, mai però di disperazione. Nulla mi legava al mondo; avevo solo nostalgie del mio giardinetto perchè amavo molto i fiori. Alcune volte, in braccio a mia sorella, andai a vederlo per soddisfare un po' la mia nostalgia. Avevo molte nostalgie per la statua di Gesù che sta nella nostra chiesa e, quando vi erano le feste del Sacro Cuore o le Messe cantate, piangevo amaramente. Siccome facevo parte del coro, mi rattristava molto vedere partire per la chiesa mia sorella, che pure cantava, mentre io dovevo rimanere. Quante volte ella mi diceva: - Se tu potessi stare là distesa, io ti ci porterei in braccio! - Lei piangeva per andare e per dovere io rimanere; e io piangevo nel vederla uscire senza poterla accompagnare. Ma mi conformavo sempre alla volontà del Signore... Quanto sono lunghe le giornate e ancor di più le notti insonni, fra tanti dolori! Alexandrina, pur nelle sofferenze, continua a pregare tanto; ma nei primi anni cerca anche di distrarsi, come è ben comprensibile: Nei primi anni tentavo di distrarmi e persino chiedevo che giocassero alle carte con me; altre volte giocavo da sola. Mi dispiace di non aver pensato sin da principio, come penso adesso, a vivere tutta unita solo al mio Gesù. Si alternano periodi in cui le pare di perdere la nostalgia per le cose terrene a periodi in cui si riaccende acuto il desiderio di guarire.

Infelice chi è paralizzato!

In alcuni episodi raccontati nell'Autobiografia risalta l'angoscia per essere bloccata in un letto. Ne riportiamo tre. Un giorno in cui dovetti restare sola per un po' di tempo presi un grande spavento. Venne da me una vicina per sapere se abbisognavo di qualcosa; nell'andarsene lasciò aperta la porta della veranda e poco dopo, per la stessa porta, entrò la nostra capretta e si diresse verso la sala dove avevamo i vasi di begonie e di capilvenere molto floridi e teneri, con i quali adornavamo gli altari della nostra chiesa in occasione delle feste. Nel vederla dirigersi là, la chiamai; ella mi guardò, ma non fece caso a me. Le buttai dei pezzetti di mela, ma non li mangiò; le mostrai una mela e la chiamai fino a che si avvicinò a me; la afferrai, le diedi una mela e me la tenni stretta quasi due ore, ora facendole carezze, ora dandole degli schiaffetti. Quando arrivò mia sorella rimase meravigliata del fatto che, a letto, avessi potuto intrattenere l'animale per tanto tempo. Attribuisco questo ad una grazia di Gesù, perché la porta della sala era aperta e la capretta, anche se non avesse mangiato le piantine, avrebbe rovinato tutto. Quanto devo a Gesù! Io ero inchiodata a letto ed Egli mi risparmiò questo dispiacere. Poco tempo dopo ebbi un'altra sofferenza più dolorosa. Mia sorella era fuori dal paese e mia madre era fuori al mercato del paese. Io rimasi con la ragazza incaricata da mia madre di prestarmi i servizi fino al suo ritorno dal mercato. La ragazza, nonostante avesse più di 20 anni, ritenne di poter assentarsi prima che arrivasse mia madre; e così fece. Quando ella uscì, le dissi: - Se vuoi andare, vai: mia madre e mia sorella mi troveranno qui, viva o morta. - Appena fu uscita, vennero presso di me alcuni gattini per farmi festa, sollevando le zampette in aria perché io dessi la mano e riuscirono a salire sul mio letto. Ma, siccome io non li volevo lì, li scrollai e andarono per terra. Alcuni momenti dopo sentii che uno di essi cadde in una bacinella di acqua e morì affogato! Lo udivo lottare nell'acqua contro la morte: miagolava molto! Sua madre miagolava pure. Io, che non avevo coraggio di udire tutto quello, cominciai a piangere dicendo: - O Mamma celeste, fate che venga qui qualcuno per soccorrerlo!. Aiutatemi, Gesù, santa Teresina! - e altri santi. Dicevo pure: - Infelice chi è paralitico! - Per caso entrarono due persone e nel sentire i miei singhiozzi vennero in camera e rimasero addolorate al vedere la mia afflizione. Il gattino era morto! Io non mi sono irritata: piangevo di pena per gli animali, ma non ho offeso Gesù. Questo episodio fu causa di grandi dispiaceri morali perché mia madre e mia sorella non approvarono il comportamento della ragazza; poi le perdonarono tutto e io pure. Siccome mi piaceva stare sola e specialmente alla domenica quando vi era l'adorazione al Santissimo Sacramento, a tutti i miei dicevo che vi andassero e mi lasciassero sola con Gesù. Una domenica, poco dopo che tutti erano usciti, mi misi a pregare e udii che qualcuno apriva il portone verso strada, saliva le scale e ad alta voce diceva: - Aprimi la porta! - Dalla voce riconobbi la persona. Rimasi molto spaventata: ah, che sarebbe di me se egli riuscisse ad entrare! Strinsi tra le mie mani la mia corona del Rosario con tutta la fiducia, mentre quella persona continuava a spingere la porta con tutta la forza. Non riuscì ad aprirla, per quanto non fosse chiusa a chiave. Pensavo al modo con cui dovevo parlargli e, per lo spavento, non potevo nemmeno respirare. Siccome non riuscì ad aprire la porta, se ne andò, lasciandomi in pace. Rimasi tanto piena di paura che non tornai più a restare sola, a meno che non mi chiudessero dentro a chiave. Attribuii questa grazia a Gesù e alla Mamma celeste che mi liberarono da quella brutta compagnia: avrei voluto vedermi piuttosto in compagnia del demonio dell'inferno. È quindi ben comprensibile che invochi di guarire! Giunsi a fare alcuni voti per ottenere la guarigione, per esempio: tagliare a zero i miei capelli, che era per me un grande sacrificio; dare tutto il mio oro e vestirmi a lutto per tutta la vita; andare in ginocchio dalla nostra casa alla chiesa. Anche mia madre, mia sorella e le mie cugine fecero grandi voti. Alla fine capii che la volontà del Signore era che io restassi ammalata. Allora cessai di chiedere la mia guarigione.

Devozione a Maria: prediletto è il suo mese.

Con il suo grande amore per Gesù, Alexandrina nutre anche tanto amore per Maria e celebra il mese di maggio con particolare devozione: Mi piaceva molto celebrarlo tutta sola: meditavo, cantavo, pregavo e alcune volte piangevo, mentre chiedevo alla Mamma del Cielo di liberarmi dalla grande tribolazione che stavo attraversando. Cantavo il «Tantum ergo» come se fossi in chiesa e stessi per ricevere la benedizione eucaristica col Santissimo. Siccome non avevo il Santissimo Sacramento in casa, né alcun sacerdote che venisse a darmi la benedizione, chiedevo al Signore che me la desse dal Cielo e da tutti i tabernacoli. Oh, che momenti tanto felici! Sentivo scendere su di me tutte le benedzioni e l'amore del Signore. In quei momenti chiedevo a Gesù di benedire tutta la mia famiglia e tutti i miei cari. Siccome Alexandrina non ha nessun quadro della Madonna, nei primi anni il parroco gliene presta uno durante il mese di maggio, che le lascia poi la nostalgia nel restituirlo. Di qui il desiderio di averne uno per sè. Ma scarseggia il denaro! Ecco come risolve il problema: Siccome non avevo denaro, varie persone mi aiutarono. Un'amica mi diede alcune pollastrelle che mia sorella allevò fino a che fecero le uova da cui poi nacquero i pulcini. Così andai raggranellando la somma necessaria per una statuetta, la campana di vetro e la mensola,ecc. Non so descrivere la consolazione che sentii nel vedere che possedevo per sempre una statuetta della cara Mamma e che sarei rimasta a contemplarla giorno e notte.

Ancora invocazioni di guarigione.

Nel 1928, undici anni dopo le apparizioni della Madonna a Fatima, viene organizzato un pellegrinaggio a cui partecipano varie persone di Balasar. Alexandrina, avendo saputo di alcuni miracoli, sente il desiderio di andarvi con la speranza di guarire. Sia il medico curante, sia il parroco non glielo permettono, dato il suo stato di salute. Ci va il parroco promettendole di chiedere per lei la guarigione: se questa fosse avvenuta, sarebbe andata a Fatima a ringraziare e il medico promette di fare la relazione del miracolo, se avverrà. Il parroco le porta da Fatima una medaglietta, una corona del Rosario, un po' di acqua di Fatima e il «Manuale del pellegrino» consigliandole di bere l'acqua e di fare una novena alla Madonna con il fine di guarire. Non ne feci una sola, ma molte! Cantavo molto e dicevo alle vicine che venivano a farmi visita: - Se un giorno mi rivedrete per la strada e mi udirete cantare, sono io che ringrazierò la Madonna per la grazia ricevuta. -Credevo che sarei guarita, ma mi ingannavo: era la mia grande fiducia nella Madonna e in Gesù che mi faceva parlare così. Pensavo: se guarirò, andrò subito subito a farmi suora. Infatti avevo paura a vivere nel mondo. Non avrei nemmeno più fatto visita alla mia famiglia: volevo essere missionaria per battezzare i moretti e salvare anime a Gesù.

 

   

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