CAPITOLO 2
(1911-1918)

CRESCE IN ETA' E SAPIENZA

Fissai l'Ostia (della 1° Comunione) che stavo per ricevere, in modo tale che mi rimase molto impressa nell'anima: mi parve di unirmi a Gesù per non separarmi mai più da Lui. Mi pare che mi abbia preso il cuore. Non lasciavo passare nessun giorno senza recitare la preghiera per la visita al SS. Sacramento, meditata, sia in chiesa, sia in casa e persino per la strada, facendo sempre la Comunione spirituale. Quando mi alzavo presto per andare a lavorare nei campi e quando mi trovavo sola, mi mettevo a contemplare la Natura: contemplazione tanto profonda da dimenticare quasi che vivevo nel mondo. Arrivavo a rallentare i miei passi e restavo imbevuta in questo pensiero: la potenza di Dio! Davo sovente consigli a persone di una certa età, evitando che praticassero persino orrendi crimini e di tutto mantenevo assoluto segreto.

A Pòvoa de Varzim per frequentare la scuola. A quei tempi mancava in Balasar la scuola elementare femminile, che venne aperta solo nel marzo del 1931: chi voleva e poteva, mandava le figlie a Pòvoa de Varzim, sede comunale. Deolinda testimoniò a d. Umberto Pasquale quanto segue:

«Devo molto a mia madre per averci mandate a scuola; con grande sacrificio ci mandò a Pòvoa de Varzim per imparare ciò che ella non aveva potuto. Diceva: - Vi potrà essere utile nella vita –

«Quanto si avverò questa previsione! Nel 1911 Deolinda doveva terminare il ciclo delle scuole elementari e nel gennaio di quell'anno ritornò a Pòvoa conducendo con sè anche Alexandrina, la quale nell'Autobiografia detta:

Nel gennaio del 1911 andai con mia sorella Deolinda a Pòvoa de Varzim per frequentare la scuola. Non voglio pensare quanto soffrii per la separazione dalla mia famiglia. Piansi molto e per molto tempo. Cercavano di distrarmi, mi coccolavano, mi accontentavano in tutto. Qualche tempo dopo mi rassegnai.

Le due sorelle fùrono messe a pensione presso la famiglia del falegname Pietro Texeira Novo. Alexandrina, che non aveva ancora 7 anni e soffriva nel sentirsi tanto sradicata, da principio si dedicò poco allo studio. Più tardi si applicò e imparò a leggere e a scrivere; però non fece in tempo a fare nessun esame di scuola elementare, come dice lei stessa (vedi avanti, n. 12). Nei primi tempi della permanenza a Pòvoa, Alexandrina lasciò sfrenare la sua natura vivace e un po' ribelle:

Continuavo ad essere molto monella; mi aggrappavo alle carrozze (trainate da cavalli), mi lasciavo trasportare un po' e poi mi lanciavo a terra e cadevo. Attraversavo la strada quando stavano arrivando le carrozze. Il conduttore sentì la necessità di accusarmi presso la padrona di casa (la donna che la ospitava). Talvolta fuggivo da casa e andavo alla spiaggia a raccogliere alghe, inoltrandomi nel mare come fanno le pescatrici. Portavo a casa le alghe e le davo alla padrona che le vendeva ai contadini (le usavano come concime). Questa cosa, anche se fatta in fretta, dava ansie alla padrona perchè la facevo di nascosto.

Alexandrina era molto affezionata alla donna che la ospitava, con la quale divideva ogni cosa buona, come frutta, dolci che le regalavano.

Mi comportavo così perchè il mio cuore così voleva, sebbene fossi molto cattiva.

Commovente è il seguente episodio.

Mi ricordo di essere andata a Laundos (a circa 5 km. a nord di Pòvoa) ad accompagnare la mia padrona che adempiva un voto alla Madonna della Salute. Con noi vennero sua figlia e mia sorella. Questa la aiutava tenendole una mano perchè (arrivata presso il Santuario) camminava in ginocchio e io andavo davanti e le toglievo via tutte le pietruzze che trovavo sul percorso. La figlia, che era maggiore di noi, andava a divertirsi.

La prima Comunione. Verso i 7 anni, à Pòvoa, Alexandrina fece la prima Comunione.

Fu il signor p. Alvaro Matos che mi interrogò sul catechismo, mi confessò e mi diede per la prima volta la sacra Ostia. Come premio ricevetti una bella corona del Rosario e una immaginetta. Mentre facevo la Comunione, stavo in ginocchio sebbene fossi molto giovane. Fissai l'Ostia che stavo per ricevere in modo tale che mi rimase molto impressa nell'anima: mi parve di unirmi a Gesù per non separarmi mai più da Lui. Mi pare che mi abbia preso il cuore. La gioia che provavo era tale da non potersi descrivere: davo a tutti la buona novella. La responsabile della mia educazione (la donna che la ospitava) mi conduceva ogni giorno a ricevere la Comunione.

Le S. Messe a Pòvoa si celebravano di mattina assai presto e questo la obbligava ad un molto grande sacrificio per la sua tenera età. P. Pinho commenta:

«Così Gesù volle lasciare bene impresso questo suo primo incontro sacramentale con colei che sarebbe stata sulla Terra una delle anime più eucaristiche, delle più appassionate per Gesù Sacramentato.»

Quanto Alexandrina desiderasse ricevere Gesù quotidianamente, è messo bene in risalto dall'episodio che segue.

Un giorno mia sorella chiese alla padrona il permesso di andare a studiare a casa di una sua compagna di scuola che abitava vicino a noi; io pure volevo andarci. Siccome non me lo permetteva, piansi e alla fine le diedi il titolo «poveira» (donna di Pòvoa, spregiativo): ero stizzita. Non mi castigò, ma mi disse che non potevo confessarmi senza prima chiederle perdono. Mia sorella mi affermò la stessa cosa. Questo mi ripugnava molto; ma, siccome volevo confessarmi per fare la Comunione, vinsi il mio orgoglio: mi misi in ginocchio e a mani alzate le chiesi perdono. Ella si commosse fino alle lacrime e mi perdonò. Provai una grande gioia per poter così confessarmi e ricevere Gesù il giorno dopo.

La Cresima. Durante la permanenza a Pòvoa ricevette anche il sacramento della Cresima.

Fu a Vila do Conde che ricevetti il sacramento della Cresima, amministrato dall'eccellentissimo e reverendissimo signor vescovo di Oporto (mons. Antonio Barboso Leone, del quale Alexandrina conservò una fotografia come caro ricordo). Mi ricordo benissimo di questa cerimonia e che ricevetti il Sacramento con tutta la consolazione (consolata anche nella nostalgia della madre e della casa). Non so dire ciò che sentii in me nel momento in cui fui cresimata: mi parve che fosse una grazia soprannaturale a trasformarmi e ad unirmi sempre più al Signore. Su questo punto vorrei esprimermi meglio, ma non riesco.

P. Pinho commenta in «No Calvario de Balasar»:

«Comincia presto, pertanto, a sperimentare gli effetti della presenza divina e della sua azione. Di qui il continuo ricordo di Dio. - Da quando cominciai ad avere l'uso della ragione, non mi ricordo di aver passato un giorno senza ricordarmi del Signore.» Il rispetto per i sacerdoti, inculcatole dalla educazione famigliare, si manifesta anche in atteggiamenti esteriori, come è descritto nell'Autobiografia: Avevo molto rispetto per i sacerdoti. Mi ricordo che, sempre a Pòvoa, quando ero seduta sulla soglia di casa verso la strada, sola o con mia sorella e con cugine, mi alzavo sempre al passare di sacerdoti ed essi rispondevano togliendosi il cappello se erano distanti o dandomi la benedizione se mi passavano vicino. Alcune volte osservai che varie persone notavano questo e io ne godevo. Arrivavo persino a sedermi di proposito per avere l'occasione di alzarmi nel momento in cui passavano presso di me, solo per il piacere di mostrare la mia devozione e il mio rispetto verso i ministri del Signore.

Ritorno al paese nativo.

Passati 18 mesi, (interrotti da un periodo di vacanza estiva) appena mia sorella ebbe superato gli esami (di 3° elementare), tornammo finalmente a casa (luglio 1912). Mia madre voleva che io continuassi gli studi, ma io, da sola, non volli rimanere a Pòvoa: così imparai ben poco. Tornammo nel luogo dove eravamo nate (Gresufrs) e li ci fermammo 4 mesi; poi andammo ad abitare in una casa di mia madre, piu vicina alla chiesa parrocchiale.

La sua vita di preghiera. La sua vita di preghiera si fa sempre più intensa. Deolinda depone al Processo Diocesano:

«Ritornate a Balasar, mi ricordo che continuavamo ad andare al catechismo, al quale Alexandrina non mancava mai e cercava di accostarsi il più possibile alla catechista per fare con lei le sue orazioni, perché già a quel tempo le piaceva molto pregare.»

A 12 anni verrà lei stessa nominata catechista e verrà ammessa a fare parte della cantoria. Ha una bella voce e buona disposizione per la musica:

A 12 anni mi diedero l'incarico di catechista e mi ammisero alla cantoria. Lavoravo con molto piacere sia nell'una che nell'altra mansione, ma per il canto posso dire che avevo una passione folle.

Tale casa era stata regalata da una zia che la madre di Alexandrina aveva assistito a lungo durante una malattia. É situata nella frazione detta "Calvario". Deolinda prosegue così la sua deposizione: «Mi raccontò più tardi che verso quella eta' (8-9 anni) soleva conservare pezzi di candela di cui si serviva per leggere alla loro luce le orazioni o il libro della Messa, che conteneva varie devozioni.« Riguardo ad altre letture spirituali, nella Autobiografia si legge: Le vite dei santi e le meditazioni più profonde non mi soddisfacevano, perché vedevo che in nulla assomigliavo ai santi: invece di farmi del bene mi facevano del male. Qui si vede già chiaramente la sua aspirazione a diventare santa, come ripetutamente chiederà poi nella preghiera. Sempre nell'Autobiografia si legge: Non lasciavo passare nessun giorno senza recitare la preghiera per la visita al Santissimo Sacramento, meditata, sia in chiesa, sia in casa e perfino per la strada, facendo sempre la Comunione spirituale in questo modo: - O mio Gesù, venite al mio povero cuore! Io Vi desidero, non tardate! Venite ad arricchirmi delle vostre grazie, aumentate in me il vostro santo e divino amore. Unitemi a Voi, nascondetemi nel vostro sacro costato. Non voglio altro bene se non Voi. Amo solo Voi, voglio solo Voi, sospiro solo per Voi. Eterno Padre, Vi ringrazio per avermi lasciato Gesù nel Santissimo Sacramento. Vi ringrazio, mio Gesù; e infine chiedo la vostra santa benedizione. Sia lodato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento! - Dicevo anche varie giaculatorie. Da queste righe risalta già ben marcata la sua disposizione spirituale: la devozione all'Eucaristia. In questo periodo fa la prima confessione generale. Fu a 9 anni che feci per la prima volta la mia confessione generale e fu il signor frà Emanuele delle Piaghe che ci confessò. Andammo io, Deolinda e mia cugina Olivia a Gondifelos dove sua reverenza si trovava (a predicare) e là ci confessammo tutte e tre. Ci eravamo portate il pranzo perché dovevamo fermarci nel pomeriggio per la predica. Aspettammo alcune ore e mi ricordo che non uscimmo dalla chiesa per giocare. Prendemmo il nostro posto presso l'altare del Sacro Cuore di Gesù e io posi i miei zoccoletti dentro al cancelletto dell' altare. La predica di quel pomeriggio fu sull'inferno. Ascoltai con molta attenzione tutte le parole di sua reverenza, ma ad un certo momento egli ci invitò ad andare in spirito all'inferno. Non avendo compreso il significato delle sue parole e avendo sentito dire che il signor frate Emanuele era un santo, pensavo che noi tutti saremmo andati nell'inferno per vedere ciò che là accade. Dissi tra me: - All'inferno io non ci vado! Quando tutti vi si dirigeranno, io andrò via.- E afferrai gli zoccoletti. Vedendo che nessuno usciva, rimasi io pure, ma non mollai più gli zoccoletti. Di esperienze mistiche di una sua partecipazione alle pene dell'inferno ne farà molte, durante il suo lungo martirio di vittima! Sempre verso i 9 anni, anche nel lavoro continua il suo atteggiamento di preghiera. Verso i 9 anni, quando mi alzavo presto per andare a lavorare nei campi e quando mi trovavo sola, mi mettevo. Entrando in chiesa se li era tolti, secondo l'uso, per rispetto al luogo a contemplare la Natura: lo spuntare dell'aurora, il nascere del sole, il cinguettio degli uccelli, il mormorio delle acque entravano in me in una contemplazione tanto profonda da dimenticare quasi che vivevo nel mondo. Arrivavo a rallentare i miei passi e restavo imbevuta in questo pensiero: la potenza di Dio! E quando mi trovavo sulla spiaggia del mare, oh, come mi perdevo davanti a quella grandezza infinita! Di notte nel contemplare il cielo e le stelle mi pareva di scomparire ancora di più nell'ammirare le bellezze del Creatore. Quante volte nel mio giardinetto, dove oggi è la mia cameretta, fissavo il cielo, ascoltavo il mormorio delle acque e andavo contemplando sempre più questo abisso delle grandezze divine! Mi spiace di non aver saputo approfittare di tutto questo per cominciare a quella età le mie meditazioni. Già da queste prime pagine dell'Autobiografia si sente la capacità di espressione poetica che sarà un altro fascino di tutti i suoi scritti.

Rigorosa, vigilante difesa della purezza. Contemporaneamente si sviluppa una attitudine a difendere la propria purezza, non solo fisica. Non mi piaceva udire conversazioni maliziose e, sebbene non comprendessi il loro significato, arrivavo a dire che me ne sarei andata via se non avessero parlato in altro modo. Mi indignavo tutta anche quando ero presente a scene indecenti tra persone adulte. Avevo paura di perdere la mia innocenza e avevo timòre che il Signore desse qualche castigo. Candido dos Santos testimoniò a d. Umberto Pasquale: «La vidi un giorno fuggire via da un ragazzo che le aveva indirizzato una frase inopportuna. Battendosi con l'indice la fronte gli gridò: - Più sale, mio caro, abbi giudizio! - » E nell'Autobiografia leggiamo: Sui 13 anni diedi uno schiaffo ad un uomo sposato che mi aveva indirizzato delle parolacce... Voltai le spalle ad un ragazzo ricco che mi aveva aspettato in un luogo solitario dove dovevo passare, per parlarmi di amoreggiamento.

La sua carità. Alexandrina ha un cuore tanto sensibile per tutto il creato, quindi ama anche gli animali ed in particolare gli uccelletti, che le sono tanto familiari: Nonostante che mi arrampicassi sugli alberi, poiché mi arrampicavo molto bene, non feci mai del male agli uccelletti. Non ero capace di portare via i nidi né di divertirmi con gli uccelli neonati (come invece purtroppo fanno molti bambini crudeli!). Soffrivo molto quando vedevo nidi disfatti, o quando udivo il pigolare triste e doloroso degli uccelli genitori privati dei loro figliolini. Giunsi a piangere di pena per gli uccelli che rimanevano senza i loro figli e per i figli che perdevano i genitori. Naturalmente il suo amore, le sue sollecitudini si estendono ai poveri, ai malati, ai vecchi. Facevo l'elemosina ai poveri e sentivo grande gioia nel fare opere di carità. Alcune volte piangevo di pena per loro e per non poterli aiutare in tutte le loro necessità. La mia più grande soddisfazione era nel dare loro ciò che avevo da mangiare, privandomi anche del mio alimento. Quante volte l'ho fatto! Un altro episodio ritrae Alexandrina durante un'opera di carità, ma mette anche in evidenza la sua forza di volontà, che le fa vincere la paura: Avevo 12 o 13 anni quando i miei zii che abitavano in S. Eulalia di Rio Covo si ammalarono di febbre spagnola. Mia nonna andò a curarli, ma si ammalò anche lei. Per prendersene cura, andò mia madre, che pure rimase ammalata. Alla fine andammo noi, mia sorella e io, sebbene fossimo molto giovani. Mio zio una notte morì. Rimanemmo là fino alla Messa del settimo giorno. Una volta fu necessario che io andassi a prendere del riso, ma dovevo andarvi attraversando la camera nella quale era morto lo zio. Arrivata alla porta di quella camera, mi prese la paura: non entrai. Venne a darmelo mia nonna. All'imbrunire bisognava che io andassi a chiudere la finestra di quella camera. Giunta alla porta della sala, dissi a me stessa: voglio perdere la paura. Ed entrai adagio adagio, proprio con quella intenzione. Aprii la porta, passai dove avevo visto la salma e andai nella camera dove egli era morto. Da allora non ebbi più paura: mi ero vinta a mie spese. E tanto si è vinta che due anni dopo avrà addirittura il coraggio di aiutare a vestire le salme! Ho assistito alla morte di alcuni, pregando come sapevo e alla fine aiutavo a vestire i defunti, cosa che mi costava immensamente: lo facevo per carità. Non avevo cuore di lasciare sola la famiglia del morto. Quando erano tanto poveri, lo facevo molto volentieri. Ed ecco in dettaglio un episodio che dimostra la forza di volontà di Alexandrina ed il suo generoso coraggio nel fare un'opera buona presso moribondi e defunti. Una volta venne a casa mia una ragazza con la notizia che stava morendo una sua vicina. Deolinda prese un libretto di preghiere e un flaconcino di acqua benedetta e corse a casa della moribonda. Andarono con lei le due apprendiste di sarta (che lavoravano con Deolinda); vi andai anch'io. Mia sorella iniziò a leggere le preghiere della buona morte, ma era agitata e tremava perché le costava assai assistere i moribondi. Terminata l'orazione, la donna morì e Deolinda disse: - Ho fatto quanto ho potuto; ma non ho coraggio per altro. - Salutò ed uscì. Osservai la figlia presso la salma della madre. La nipote se ne andò anche lei, ma io non ebbi coraggio di lasciare la figlia da sola. Mi fermai per aiutarla a lavare e a vestire la defunta. Era coperta di piaghe: esalava un odore orribile. Credetti di svenire perché mi sentivo male. Un'altra donna sopraggiunta capì il mio stato e corse a prendere alcuni ramoscelli di foglie aromatiche, fàcendomele fiutare. Tornai a casa solo dopo che tutto era sistemato.

Intelligenza e sapienza del cuore. Col passare degli anni si sviluppa anche l'intelligenza, e molto; e in essa non manca neppure uno spiccato senso di umorismo: Nelle riunioni di famiglia, non so cosa dicevo, ma suscitavo molta ilarità alle persone che mi erano attorno, le quali ridevano di gusto. Mia madre diceva: - I ricchi hanno un giullare che li fa ridere; io non sono ricca, ma ho qui anch'io chi sta a rallegrarci. - E d. Umberto Pasquale ricordava che Alexandrina, alla fine di una lettera da lei scritta, aveva apposto una successione di punteggiature: !?; col commento: io sono ignorante e non capisco queste cose; le metta lei a posto nel punto giusto. Ma poichè Alexandrina vive una vita di preghiera, pur in mezzo alle sue molte attività, accanto all'intelligenza acuta si sviluppa in lei anche la sapienza del cuore al punto che molti vanno da lei, nonostante la sua giovane età, a chiedere consigli e conforto: Davo sovente consigli a persone di una certa età, evitando che praticassero persino orrendi crimini (aborti?); e di tutto mantenevo assoluto segreto. Venivano da me e tenevano conversazioni che non erano proprie della mia giovane età: le confortavo, dicevo loro ciò che credevo giusto. Di certi casi venni a conoscenza, a certi altri fui presente; ma, per carità, non raccontai nulla. Mi ritengo molto grata al Signore per avere agito così: era per grazia sua e non per virtù mia.

Lavoro. Tornata da Pòvoa, Alexandrina esplica le sue energie in tante attività lavorative. Sentiamo Deolinda: «La mamma si occupava di tessitura, la sorella (Deolinda stessa) imparava a cucire e lei (Alexandrina), con i suoi 9 anni, lavorava già molto: cucinava, lavava, le piaceva raccogliere legna. Così continuò fino ai 12 anni.» Imparava con la sorella a lavorare anche da sarta. Ma verso i 12 anni cominciano i guai! A 12 anni fui colpita da una màlattia molto grave, tale da farmi ricevere gli ultimi Sacramenti. Mi preparai a morire e ricordo che ero ben disposta per la morte. Un giorno in cui la febbre era molto alta deliravo e ricordo che chiesi a mia madre che mi desse Gesù. Ella mi presentò un crocifisso e io le dissi: - Non è questo che io voglio: voglio il Signore del tabernacolo. - Deolinda precisa nella sua deposizione al Processo Diocesano: «Era una infezione che un primo medico non diagnosticò; fu chiamato un altro medico che scoprì la malattia e mia sorella guarì completamente. Fino a 14 anni completi godette di buona salute.» Deolinda stessa aveva raccontato a p. Pinho: «Alexandrina andava a passare alcuni periodi di tempo a casa di una zia che abitava presso Barcelos (a circa 18 km. da Balasar): lì lavorava a tenere in ordine la casa, quasi come una donna. A 13 anni lavorava nei campi guadagnando tanto quanto sua madre o qualsiasi lavorante a giornata: i padroni non facevano distinzione dalle altre nell'ordinarle i lavori che le affidavano.» A questo punto si ha quello che Alexandrina chiama «il periodo più doloroso della mia vita di lavoro»... Sentiamo lei stessa. Mia madre mi mise a servizio nella casa di un vicino (Lino Ferreira che abitava nella casa antistante a quella di Alexandrina), ma nel contratto incluse alcune condizioni, come: darmi la possibilità di confessarmi tutti i mesi, trascorrere i pomeriggi delle domeniche in casa mia per andare in chiesa e per stare sotto la vigilanza di mia madre, non farmi uscire dopo l'imbrunire, ecc... Il contratto fu per 5 mesi, ma non vi rimasi sino alla fine. Il padrone era un perfetto aguzzino: mi dava nomignoli, mi obbligava ad un lavoro superiore alle mie forze. Aveva un cattivo carattere e poca pazienza; persino gli animali lo conoscevano perchè li picchiava e li spaventava: era quasi impossibile radunare il bestiame quando lui gli andava vicino. Mi insultava senza motivo davanti a chiunque e io mi sentivo umiliata. Sebbene fossi all'inizio della mia giovinezza, non provavo la gioia, per causa di quel triste vivere. Un giorno dovetti andare al mulino a prendere la farina per una infornata; ma vi arrivai già sull'imbrunire e perciò quando tornai a casa del padrone era già molto tardi perchè vi impiegavo un'ora di cammino. Giunta a casa, egli mi sgridò molto, mi insultò e mi diede persino della ladra. Suo padre, uomo assai vecchio, si indignò contro di lui e mi difese dicendo che non avevo avuto tempo per altro. Tutte le sere venivo a dormire a casa. Quella sera, siccome ero irritata perchè la mia coscienza non mi rimproverava la più piccola mancanza, mi lamentai con mia madre; ella, dopo di essersi informata del caso, non mi lasciò più tornare a lavorare da lui, sebbene egli insistesse molto. Mia madre mi tolse dal servizio, vedendo che lui non aveva rispettato il contratto. Infatti una volta ero stata dalle 22 alle 4 del mattino in Pòvoa a custodire 4 coppie di buoi, perchè il padrone e un suo amico si erano assentati da me. E io, piena di paura, trascorsi là quelle ore tristissime della notte. Mentre vigilavo il bestiame, contemplavo le stelle che scintillavano molto e mi facevano da compagne. Riguardo alle sue condizioni fisiche in questo periodo, notiamo quanto segue. Il medico Azevedo, che la assisterà dal gennaio 1941 sino alla morte con la massima sollecitudine e attenzione, oltre che con competenza, e che la seppe comprendere a fondo, raccolse anche le sue confidenze; in una "Storia della malattia" redatta nel luglio 1941 e completata in séguito, scrive, riguardo alla malattia avuta verso i 12 anni: «Si suppone che sia stata una febbre intestinale (tifoide?)... Dopo questa malattia grave visse con poca salute». Come mai Deolinda dice «godette di buona salute»? E come mai la madre permise che lavorasse nei campi in modo tanto faticoso e poi la ingaggiò con un contratto a lavorare presso quel vicino di casa? È evidente che Alexandrina, conoscendo le scarse condizioni economiche della famiglia e dotata di temperamento generoso nel sacrificarsi, nascose agli altri i malesseri conseguenti a quella infezione. Anche nel seguente episodio si nota la sua forza nel sopportare il dolore. Tra i 13 e i 14 anni cade da un querciolo su cui era salita a prendere dell'edera da dare al bestiame. Caddi giù rimanendo per un po' di tempo senza potermi muovere e senza respirare. Mi rialzai poco dopo per continuare il lavoro. Vediamo già qui il germe di quell'eroismo che la porterà sulle più alte vette dell'immolazione.

 

   

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