La mia non vuol essere una commemorazione di don Umberto e nemmeno il tentativo di tracciare le linee della sua vicenda umana, come, peraltro, suggerisce il titolo del mio intervento. Su questi punti oggi non mancano degli strumenti; ne indico solo due:
• la bella «lettera mortuaria», scritta dalla comunità di Leumann qualche tempo dopo la morte di don Umberto e mandata a tutte le case della Congregazione salesiana;
• una veloce, ma efficace, sintesi dell’avventura umana di don Umberto la si può leggere nel piccolo pieghevole distribuito stamattina a tutti i partecipanti della giornata;
• ed ora una biografia nuova fiammante, ancora odorosa di stampa, anzi una «autobiografia» che riporta tantissimi ricordi inediti specialmente dell’infanzia del piccolo Umberto e tante notizie riguardanti in modo particolare quelle legate alla sua permanenza in Portogallo.
Una copia dattiloscritta di questa autobiografia mi era stata consegnata, qualche giorno dopo la morte di don Umberto, da un suo caro amico, don Pietro Ceresa, ideatore e fondatore di un interessante museo mariano che è ospitato nei sotterranei della basilica di Maria Ausiliatrice qui a Valdocco. Ci era venuta l’idea di pubblicarla, ma essendo io, allora, al termine del mio mandato come direttore del Centro Catechistico Salesiano e della Elledici, ho pensato che non avrei potuto arrivare in tempo per la pubblicazione, per cui ho lasciato cadere la cosa, rimandandola a un tempo più opportuno… E questo tempo è arrivato, soprattutto per il fattivo ed efficace interessamento di Maria Rita Scrimieri, di Don Luigi Cameroni e di tanti «amici» di don Pasquale e devoti della Beata Alexandrina da Costa, di cui don Umberto fu non solo il direttore spirituale, ma anche colui che più di tutti ne ha mandato avanti la causa di Beatificazione.
Non ripeterò i dati della biografia e nemmeno voglio presentarne una sintesi; vorrei, invece, lasciarmi prendere dai ricordi che affiorano alla mia memoria relativamente ai circa 20 anni di consuetudine di vita con lui durante la sua permanenza nella comunità salesiana del Centro e della Editrice, e di lavoro insieme nel servizio catechistico che costituisce la missione della nostra opera. Ero tentato, naturalmente, di percorrere nell’intervento almeno gli episodi più salienti e significativi delle tappe della sua vita, anche perché è piena di episodi interessanti e gustosi: la vita di don Umberto è stata infatti movimentata e piena di sorprese:
• a undici anni entra come «piccolo operaio» nel «Cotonificio Italiano» di Vignole, dove lavorava anche il padre;
• due anni più tardi lo troviamo a Valdocco dove visse alcuni anni che impressero una impronta indelebile nella sua esperienza di ragazzino e lasciarono un’invincibile nostalgia che lo accompagnò per tutta la giovinezza;
• richiamato dal padre a Vignole, entra in Seminario a Stazzano, nella diocesi di Tortona per studiare e prepararsi e diventare sacerdote;
• ma il suo cuore era a Valdocco e sognava la vita salesiana…; durante la teologia «fugge» letteralmente dal seminario e comincia una lunga peregrinazione che, passando attraverso anche a delusioni e disavventure, lo porta finalmente a coronare il suo sogno ed entrare nel noviziato. E a questo punto inizia un altro capitolo importante e decisivo della vicenda di don Umberto.
In questa prima parte del mio intervento parlerò del tempo nel quale don Umberto lavorò presso il Centro Catechistico Salesiano di Leumann, anche perché nella sua autobiografia l’attenzione è quasi esclusivamente portata sul periodo dell’infanzia e della sua permanenza in Portogallo.
Comincio con alcuni ricordi personali, specialmente quelli legati alle mie prime esperienze presso il Centro Catechistico Salesiano di Leumann. Io, allora, ero un giovanissimo prete, appena licenziato in teologia e dirottato verso la catechesi, dopo che diversi confratelli di Leumann, per tanti motivi, erano sciamati in altre opere della Congregazione, specialmente verso l’Istituto di Catechetica della Pontificia Università Salesiana di Roma. Non ero solo giovanissimo, ma inesperto e totalmente sprovveduto di fronte al compito che mi veniva affidato dall’obbedienza: curare, cioè, per la rivista «Catechesi» e per l’Editrice Elledici, la catechesi e la pastorale dei preadolescenti… Proprio in questo settore ho avuto modo di confrontarmi con don Umberto che, a sua volta, aveva il compito di seguire per il Centro e l’Editrice la catechesi della scuola dell’infanzia o scuola materna, come si diceva allora. è stata per me una collaborazione molto utile che mi ha aiutato ad entrare nel mio lavoro e mi ha permesso di conoscere, in don Umberto, una persona intelligente, competente, preparata, preoccupata dei problemi concreti, capace di cogliere gli aspetti educativi e pastorali, attento a quanto accadeva attorno a lui, in un mondo in movimento, e curioso di conoscere quanto veniva scritto e pubblicato, anche all’estero, sui temi dei quali scriveva sulla rivista e di cui preparava sussidi per l’Editrice.
Ma la cosa che subito mi ha colpito è stata la sua reazione, quando, dopo circa un mese che mi trovavo al Centro, fu pubblicato un fascicolo che io avevo preparato per la rivista Catechesi, che era come la mia prima «uscita pubblica»… Venne nel mio ufficio a congratularsi per il lavoro fatto e per dirmi: «Lavoreremo bene insieme»; quelle parole, dette con la bonomia e semplicità e uscite dalla bocca di una persona che io stimavo, mi diedero tanta gioia e mi incoraggiarono a proseguire nel mio lavoro. Aggiunse, forse per farmi coraggio e per farmi sentire a mio agio, queste parole: «Io sono stato tanti anni in Portogallo e spesso mi scappano parole ed espressioni non del tutto corrette in italiano; Le sarò grato se mi rileggerà e mi correggerà gli articoli prima della pubblicazione». Io, ingenuamente accettai, a patto però che da parte sua rileggesse i miei articoli e mi facesse gli opportuni suggerimenti. Ho capito, in quell’occasione che, spesso più dei consigli e delle raccomandazioni, sono utili ed efficaci gli incoraggiamenti ed anche eventuali apprezzamenti se non proprio…lodi.
In un’altra occasione ho ammirato da una parte la sua umiltà e dall’altra la sua capacità di dar fiducia ai giovani confratelli che iniziavano, magari senza grande preparazione, il difficile lavoro dell’animatore di catechesi e dello scrittore di temi pastorali. Eravamo nel tempo fra il Natale e il Capodanno del 1967. La direzione della Editrice aveva deciso di preparare un corso di catechesi per i fanciulli dai sei agli undici anni che aggiornasse alle esigenze della nuova pastorale del Concilio i vecchi testi in uso nel recente passato. Ci siamo radunati per stabilire le linee essenziali dei nuovi sussidi (si trattava di un impresa piuttosto impegnativa: 5 testi didattici per i ragazzi e 5 guide per i catechisti, accompagnati da quaderni attivi e da una serie di 40 filmine…). Volevamo accordarci per stabilire i criteri generali della pubblicazione, i tempi di consegna e per programmare il lavoro suddividendoci i compiti, al fine di arrivare ad aver pronto tutto il materiale entro l’inizio dell’anno scolastico successivo. Ognuno di noi avrebbe dovuto presentare, entro una data stabilita, il testo per uno dei 5 anni del corso. Io mi sono messo subito al lavoro e chiesi a don Umberto di rivedere, a mano a mano che terminavo una Unità Didattica, il risultato della mia fatica chiedendogli di aggiungere i sussidi audiovisi che le notissime «Filmine Don Bosco» avevano prodotto a riguardo dei temi in questione e che io non conoscevo ancora a sufficienza… Dopo qualche giorno don Umberto mi portò il lavoro rivisto e completato, congratulandosi ancora una volta con me per il lavoro fatto. Ma aggiunse una cosa che mi meravigliò molto e che mi fece ammirare la sua umiltà. Mi disse: «Ho letto con attenzione il suo lavoro ed ho fatto le osservazioni e le aggiunte che mi ha chiesto. Ma leggendolo mi sono persuaso di una cosa: io ho fatto i miei studi tanti anni fa; mi rendo conto che la mia teologia è invecchiata, specialmente dopo il Concilio; voi, giovani, invece, siete freschi di studi, avete vissuto negli anni del Concilio e lo avete assimilato… Le chiedo, perciò, voler scrivere anche il testo che toccherebbe fare a me; Le darò tutta l’assistenza e quando ci saranno dei problemi e dei dubbi li risolveremo insieme…».
Io ho cercato di sottrarmi da quella proposta, soprattutto perché ero persuaso che certamente don Umberto avrebbe fatto molto meglio, ma alla fine di fronte alle sue insistenze, ingenuamente, ho accettato. Ma devo dire che, da parte mia, è aumentata di molto la stima per don Umberto: non solo per la sua umiltà, ma soprattutto per il suo atteggiamento verso le «novità» che si facevano avanti nella pastorale della Chiesa in quegli anni. Non era attaccato al passato, come alcuni sacerdoti della sua generazione; si rendeva conto che le cose erano cambiate e che bisognava cambiare il modo di presentare la fede, attenti e fedeli alla integrità dei contenuti e dei valori perenni, ma usando un linguaggio nuovo, adatto alle situazioni inedite che si venivano profilando. Ma devo aggiungere che don Umberto non si è ritirato dal suo abituale impegno ma ha investito il suo tempo nello studio delle nuove linee della pastorale postconciliare ed ha continuato ancora per anni a portare avanti con molta competenza il suo lavoro nella Editrice e nel Centro
All’insegna della fantasia pastorale e della concretezza
La sua carità, poi, e il suo zelo apostolico e pastorale erano molto concreti e con i piedi per terra; scorrendo le pagine del volume, che avete tra le mani, si potrà vedere come, pur essendo un apprezzato direttore di spirito, non per questo viveva sulle nuvole, prigioniero di una cerchia elitaria di anime elette, ma sapeva cogliere e creare le occasioni e le condizioni che dessero concretezza alle ali della sua creatività: comperò (o più spesso si fece regalare) case e terreni… Tra l’altro con preveggenza e santa furbizia cercava a tutti i costi una casa a Fatima per offrire ai salesiani la possibilità di svolgere uno speciale apostolato presso i luoghi delle apparizioni; e una buona signora gli regalò una bella villa. Fondò opere e presenze salesiane, gettò le basi di una casa editrice, le «Edizioni Salesiane» di Oporto, attiva e fiorente ancora oggi. Una caratteristica della sua carità era quella di non ricercare l’esclusiva neppure nel fare il bene; è bello costatare, per esempio, che in un impeto di generosità mise a disposizione la villa di Fatima ai Padri della Consolata che cercavano, a loro volta, una presenza presso i luoghi delle apparizioni; e, per l’occasione, si ricevette una bella ramanzina dal suo Superiore, che però lo stimava e gli voleva bene, e capì subito che tutto nasceva dal suo cuore generoso.
Altri aspetti della vita e della missione di don Pasquale
Naturalmente ci sarebbero ancora tanti aspetti della vita e dell’attività di don Umberto che meriterebbero di essere ripresi e presentati, per esempio:
• Don Pasquale, direttore spirituale: non solo di Alessandrina (tema che svolgerà Maria Rita Scrimieri, al termine della mattinata), ma di tante altre anime che si rivolgevano a lui, con grande fiducia e che lui seguiva con fedeltà, con competenza e con la preghiera. Molto spesso arrivavano alla nostra portineria di Leumann persone inviate a lui da sacerdoti che lo conoscevano e gli affidavano casi per i quali essi non si sentivano di prendersi il carico; ogni settimana scriveva decine di lettere, brevi e concise, ma piene di saggezza, di concretezza e di esperienza spirituale e mistica. Ne ho una piccola raccolta, speditami da una signora milanese, nelle quali per trasparenza emerge la ricchezza e la sodezza della sua direzione.
• Don Pasquale, instancabile pescatore e suscitatore di vocazioni sacerdotali e religiose. Anche questo sarebbe un capitolo da sviluppare, ma rimando al volume che avete in mano dove c’è una bellissima testimonianza dello stesso don Umberto in proposito (vedere: pp. 122 – 125).
• Don Pasquale esorcista: nelle conversazioni avute con lui durante l’ultima malattia, mi ha raccontato in proposito esperienze sconvolgenti, impressionanti e sconcertanti nelle quali don Umberto ingaggiava battaglie all’ultimo sangue per strappare al Maligno le anime che ricorrevano a lui.
• Don Pasquale catecheta e pastoralista: è stata questa la principale attività degli anni passati a Leumann; ne ho fatto un veloce accenno nella prima parte della mia chiacchierata. Oltre all’impegno della rivista «Catechesi» e la produzione di libri e sussidi catechistici, nei primi anni di Torino e di Leumann fece numerosi viaggi in tutta Italia, specialmente nel Sud, per cicli di conferenze, corsi per catechisti, missioni popolari, organizzazione di giornate catechistiche diocesane, incontri con i catechisti…; senza contare un’opera che ha prolungato e dilatato nel tempo il suo impegno catechistico (e lo continua tuttora!) e, cioè, la fondazione delle «Edizioni Salesiane» di Oporto.
Potremmo e dovremmo parlare ancora di don Pasquale «devoto di Maria» e grande propagatore della sua devozione. Tanto per cominciare dovremmo dire che il titolo che don Umberto aveva dato alle pagine della sua autobiografia era: «Maria nella mia vita». Fin da bambino aveva attinto una tenera devozione verso la Madonna dalle Figlie di Maria Ausiliatrice frequentando il «Convitto» di Vignole. Nella sua vita, specialmente nelle permanenza in Portogallo, divenne un infaticabile propagandista della devozione alla Ausiliatrice; in tutte le case dove passava lasciò delle belle statue che faceva venire dall’Italia, introduceva la novena dell’Ausiliatrice, ne celebrava con solennità la festa con grande concorso di popolo… Senza contare tutto quello che don Umberto fece per la conoscenza e la diffusione del messaggio di Fatima. Aveva per la Madonna una devozione tenera e quasi infantile ed una fiducia assoluta nel suo aiuto; e la Madonna gli fu vicina e gli venne incontro, qualche volta in una maniera che potremmo dire miracolosa. Uno dei miei più vivi ricordi è quello che oggi (memoria liturgica della «Beata Vergine Maria del Rosario) mi richiama la corona del rosario che vedevo scorrere tra le dita di don Umberto nei lunghi momenti di solitudine della sua ultima malattia.
Ricordo uno scherzo al quale fui presente io stesso: eravamo a Potenza, ospiti della casa «Sacro Cuore» presso l’Arcivescovado, e tenevamo un mese di formazione per i catechisti delle comunità parrocchiali e degli oratori della Ispettoria Salesiana Meridionale, organizzati da don Vincenzo Recchia, professore di Latino e di Patristica all’Università statale di Bari. Una sera eravamo di ritorno da una passeggiata ai laghi di Monticchio, stanchi ed accaldati. Fra gli altri c’era un giovane, piuttosto sempliciotto, che offriva il fianco allo scherzo e che non se la prendeva troppo, anzi in certo qual modo ne era contento. Appena arrivato questo giovanotto sale subito in camera per fare una doccia, ma don Umberto gli aveva preparato uno scherzo: aveva sistemato sopra la porta un secchio d’acqua che si rovesciò su di lui bagnandolo dalla testa ai piedi; piuttosto arrabbiato si cambiò, si asciugò e poi, pensando che l’autore dello scherzo fosse stato don Pasquale andò davanti alla porta della sua camera, bussò ed entrò deciso a dirgliene quattro…, ma don Umberto aveva previsto la mossa ed aveva preparato un altro secchio d’acqua che si rovesciò sul malcapitato…, il quale dopo la duplice esperienza si guardò dal prendere altre iniziative… Uno scherzo un po’ gogliardico, ma fatto con bonomia e senza malizia, che contribuì a creare una atmosfera di confidenza, familiarità e di grande allegria.
Forse si può attribuire anche alla sua voglia di fare scherzi un episodio raccontato con dovizia di particolari nel volume, ed è uno «scherzo» fatto, questa volta, a san Giuseppe. Lo leggo dal volume alla p. 62. Don Umberto aveva contratto un debito piuttosto pesante per sistemare la casa di Mogofores: si trattava di una fattura di 12.000 scudi.
«Quella fattura di 12.000 scudi posta sulla mia scrivania mi tormentava la mente, perché a quei tempi era una grossa somma.
Ebbi una ispirazione. Scesi in cappella (abitavamo ancora nella vecchia Casa) e presi dal suo piedistallo la statua di San Giuseppe; la portai nella camera e la misi dentro l’armadio dove, tra la naftalina, conservavamo le coperte di lana per il periodo invernale: “Starai qui – dissi al Santo – finché non mi avrai aiutato a pagare il grosso debito”.
Durante il pranzo, il novizio incaricato della Cappella mi si avvicinò per dirmi che dalla Cappella era scomparsa la statua di San Giuseppe. Molto seriamente di dissi: “La colpa è tua, perché lasci sempre la porta aperta che dà sulla strada. Quando scriverai ai tuoi genitori, chiederai il denaro per comprare un altro San Giuseppe”. Il novizio, Bonomelli, era originario di Bergamo.
Passarono tre giorni e una buona signora venne a portarmi una busta scusandosi della piccola offerta. Giunto nel mio ufficio, l’aprii e, con mia meraviglia e gioia, ne estrassi il contenuto. C’erano 15.000 scudi!
Corsi subito nel guardaroba, aprii l’armadio ed esclamai a San Giuseppe: “Ho capito ciò che ti dà fastidio! È l’odore della naftalina! Ti riporto al tuo posto in chiesa ma sta’ attento che non ti capiti un’altra volta!”.
Quando, dopo l’esame di coscienza, i novizi entrarono in refettorio, Bonomelli mi corse vicino tutto raggiante: “Padre maestro, San Giuseppe è ritornato, è di nuovo in cappella!”.
Io mi misi a ridere… ma non dissi nulla su quanto era avvenuto, aggiunsi solo: “Ringrazialo di cuore, perché diversamente, l’avrebbero pagato i tuoi di Bergamo!”».
San Giuseppe gli aveva pagato il debito con gli interessi! C’è un proverbio italiano che dice: «Scherza con i fanti, ma lascia stare i Santi!», ma don Pasquale aveva una così grande confidenza con i Santi che poteva permettersi di scherzare anche con loro.
Rifacendomi anche a questo gustoso episodio, penso che sia stata una felice intuizione l’avere cambiato il titolo alla «autobiografia» di don Umberto da «Maria nella mia vita», come don Umberto aveva intitolato le sue memorie…, in «Il monello di Dio»… E penso che don Umberto non se ne avrà a male e accetterà volentieri questo scherzo che gli abbiamo fatto.
Torino- Valdocco, 07.10.06. Don Mario Filippi